The Cure – Disintegration

In attesa di vederli all’opera in Italia all’interno di Firenze Rocks e di conoscere qualcosa in più del loro, probabile ed imminente, ritorno discografico, ci rimmergiamo nella loro discografia analizzando un album tra i migliori dei The Cure che tra l’altro, quest’anno, compie ben trent’anni: Disintegration. Questo album del 1989 non abbiamo mai avuto paura a definirlo un capolavoro senza tempo perché qui, la musica, in particolare quel dark e quel gothic rock marchiato The Cure è qualcosa che rimane, che colpisce ed entra dentro come la freccia scoccata da un arco che qui possiamo rappresentare con la voce di Robert Smith, penetrante ed oscura come non mai. Disintegration, con le sue dodici tracce, coinvolge in ogni passaggio perché qui quello che emerge in modo considerevole è il ritorno dei The Cure a quel dark degli inizi di carriera, a quell’oscurità che porta a sogni cupi, romantici e spesse volte inquieti ai quali la band ci ha spesso abituato. Già dall’apertura del disco con la coinvolgente Plainsong sembra di intraprendere un’avventura fantastica che si concretizza nella bellissima Pictures Of You,  uno dei pezzi più belli di questo lavoro dove la narrazione non è solo tale ma anche presenza di un amore sconfinato, palpabile non solo attraverso le parole ma anche e soprattutto dalla genialità compositiva con cui la musica sorregge il tutto, quasi fosse una carezza. Ed eccola nelle parole di Smith quella carezza

Looking so long for the words

to be true

But always just breaking apart

My pictures of you

Cerco da così a lungo parole

per farti vedere veramente quello che sento

ma mi ritrovo sempre solo a strappare

le mie immagini di te

E si continua in questa continua ricerca di amore che dia nuove sensazioni con la successiva Closedown, un pezzo dalla ritmica martellante dove, anche qui, alle tastiere è lasciato il compito di ricamare le giuste atmosfere di una sperduta sofferenza in continua evoluzione, un disco che è la rappresentazione sonora di uno stato d’animo che solo il dark ed i The Cure possono far capire. E sono struggenti anche la stessa Last Dance e quella Lovesong che così recita

Ogni volta che sono solo con te

Mi fai sentire come se fossi nuovamente a casa

Ogni volta che sono solo con te

Mi fai sentire come se fossi nuovamente intero”

Ed è proprio con Lovesong che i Cure dimostrano quello che sono, sciorinando un pezzo che tra ballabilità ed infinita tristezza, pur nella sua breve ,durata anticipa il ritorno ad un sound più martellante e cupo che sfocerà nella successiva Last Dance dove le vibrazioni questa volta le offrono la splendida chitarra di Smith, sostenuta per tutto l’album da un tastierismo onnipresente ma mai strabordante. Già, perché chi non lo ha notato Disintegration è un album in cui le tastiere sembrano essere le vere regine grazie a quel suono quasi sfuggente che fa capire quali siano i veri strumenti che la fanno da protagonista. Con Lullaby la favola diventa finalmente realtà musicale sopra ogni cosa, e Disintegration diventa così quello che è: uno dei più bei album di tutti i tempi. Questa è la produzione che spiana ai The Cure la strada verso nuove sonorità, più ricche e ricercate e basta proprio Lullaby a dimostrarlo, ma non sono da meno tutti e dodici pezzi che compongono questa produzione, compresa la copertina che ci consegna uno degli album più intensi e angosciosi degli ultimi trent’anni. Già, perché proprio in occasione dei trent’anni del disco che cadono quest’anno, è ancora presente la definizione che diede all’epoca il New Musical Express: “proprio per le canzoni in esso contenute, iniziando dalla prima traccia Plainsong, l’album è un’ondeggiante e lenta narrazione che paralizza l’ascoltatore con il veleno di Disintegration”. Non c’è proprio altro da dire di fronte ad un lavoro così concepito che è diventato uno dei concept-album ancora più ascoltato di tutti i tempi.

Ti potrebbe interessare