London Underground – Four

La Londra che amo, la Londra metropolitana, quella delle tante razze, la Londra dove i veri londinesi sono davvero rari a trovarsi è probabilmente, grazie ai miei soventi viaggi, quella che conosco di più, ma la Londra che adoro, quella che offre tante opportunità di incontri è quella sotterranea, quella composta dalle subway che si intrecciano in colori diversi tra graffiti, murales, i colori delle linee del metrò e qualche gentleman. Questa Londra che sovente percorro è vellutata perché nascosta dove il pullulare di tanti segreti, tutti diversi tra loro hanno in comune lo scorrere veloce del tempo che, qui, non si smette mai di assaporare. E London Underground è il nome di una nostrana band che sto ascoltando, una band che oltre a calcare da tempo le scene internazionali, produce album davvero interessanti come di rado accade nel panorama italiano. Ed il viaggio comincia con tanti bei ricordi che ci riportano ad un sound datato anni ’70, per lo più composto da rock psichedelico che si amalgama alla perfezione con la neo psichedelìa ed il rock progressivo. Addirittura, sembra in alcuni momenti che abbiamo sbagliato a mettere nel lettore il cd perché la musica qui viaggia tra atmosfere alla Atomic Rooster, una chitarra elettrica che sembra essere quella di Santana, ed arie alla Weather Report. Four, l’ultimo nato in casa London Underground, è un disco che predilige il primo piano dell’Hammond, suonato con grande padronanza da Gianluca Gerlini senza però disdegnare un approccio di alto rango al rhythm & blues, quello del periodo sessanta per intenderci, i cui precursori corrispondo a nomi altisonanti come quello di Brian Auger che ha iniziato a suonare il piano proprio nei locali di Londra con un trio jazz dal nome di un famoso college londinese, Trinity. Dal loro debutto ad oggi i London Underground di strada ne hanno fatto davvero, e tanta; lo conferma anche questo loro Four composto da otto tracce oltre a due bonus. In realtà i pezzi ai quali facciamo riferimento sono delle cover che corrispondono a Tropic Of Capricorn di quel Brian Auger di cui parlavamo prima, e Ray Ban di Stefano Torossi ma accreditato come Fotriafa nella band I Marc 4, tra l’altro titolo dell’omonimo album Ray Ban pubblicato su Nelson Records con Maurizio Majorana al basso, Carlo Pes alla chitarra, Roberto Podio alla batteria e Antonello Vannucci all’organo Hammond. Ma ci sono anche le bonus tracks Mercy, Mercy, Mercy di Joe Zawinul dei grandi Weather Report, e Bumpin’ On Sunset di Wes Montgomery uno dei più importanti chitarristi della storia del jazz, il cui stile ha influenzato tutti i maggiori chitarristi degli anni sessanta e non solo quelli che hanno avuto a che fare con il jazz. Il lettore più interessato tenderà a chiedersi se quelli di cui stiamo parlando qui sono una band di musica prog-psyche o di musica jazz ed il dunque è proprio qui perché i London Underground amano spaziare in diversi generi dove è proprio l’organo hammond ad essere la base di tutto. Di questo disco non vogliamo analizzarne compiutamente ogni singola traccia perché l’ascolto dei pezzi dice di tutto e di più, però quello su cui vogliamo cercare di attrarre l’attenzione dei nostri lettori è la capacità dei London Underground di saper trasportare il pubblico in gloriosi e mai dimenticati passati e trascorsi musicali, perché qui, in questo loro ultimo lavoro, Four, ogni pezzo è fatto per esserne assorbito con la schiettezza e l’importanza di generi che non tramonteranno mai. Qui non c’è nessun tipo di nostalgia, tutto è amalgamato alla perfezione ed al punto tale da essere di una perfezione che in studio potrebbe tranquillamente fare a meno di campionamenti e computer e o sovraincisioni. Manca solo un piccolo esperimento da farsi, provare ad ascoltare il cd in cuffia attraversando quella metropolitana londinese che orami ci sembra un po’ casa nostra. Prima o poi dovrò tentare, per ora basta con le parole ….torno a riascoltare questo splendido Four.

 

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