Keyton Bunton – All Planes Must Land

Dopo aver analizzato l’uscita del 2019 di Kenyon Bunton, This Guy’s Disguised This Sky, facciamo un breve passo indietro e stavolta ci occupiamo di All Planes Must Land pubblicato il 14 giugno dello scorso anno. L’album si presenta in maniera accattivante grazie ad un’introduzione bella e soft che ci viene proposta con The Most Beatiful Song In The World aperta da un organo che spiana la strada ad una chitarra dallo stile country sulla quale si poggia la voce dello stesso Bunton che crea un’atmosfera d’altri tempi. Infatti con questo bel pezzo ci sembra di essere piombati in pieno stile Cat Stevens quando il cantante statunitense non si era ancora convertito all’Islam. L’arrivo di Carnival è invece una rottura con la precedente atmosfera, ed infatti un rock misurato e ben scandito diventa il vero artefice dell’intero pezzo che come il precedente, non stanca, anzi appassiona. Personalmente ci sembra che questa proposta musicale sta nel mezzo tra il sound dei Pearl Jam e quella dei Soundgarden anche se qui le tastiere ed il basso sono il sostegno a tutto quello che nel pezzo è pienamente descritto e….cantato. Carnival è un pezzo che si immerge in atmosfere d’altri tempi dove la qualità della musica è tutto, e basta questo a far capire a che genere ci si trova davanti. Il passaggio successivo, quello proposto con Fall Down Running è un ritorno a suoni che tra acustico ed elettrico si alternano in un bel falsetto che la band di Bunton propone in uno stile del tutto personale, oltre che andare a pescare tra generi diversi ma perfettamente miscelati l’uno all’altro. The Grey Sea è invece un passaggio che ricorda certi momenti cantati dei primi Pink Floyd, ma qui l’atmosfera è fortemente romantica anche se la chitarra acustica e la slider creano un sound tipicamente country. Far Alone (part. One) è invece una continua immersione in suoni d’altri tempi, molto vicini ai Crosby & Stills di vecchia memoria. L’ondata di delicatezza è così avvolgente che questo pezzo meriterebbe di essere inserito nelle migliori raccolte di quel country rock alla Buffalo Springfield (e chissà che qualcuno non ci senta davvero!) Dopo questo pezzo passaggio molti di noi si aspetterebbero atmosfere dello stesso genere, ma in realtà Far Alone (part. Two) ci proietta in una dimensione psichedelica e da post space rock che non guasta anzi, alimenta sempre di più quella convinzione di trovarsi di fronte ad un’artista in grado di far prendere alla musica quella dimensione personale che solo un ottimo musicista, come lo è Kenyon Bunton, è in grado di offrire. Poi qui, sembra proprio che vi sia stato dall’aldilà lo zampino di un rivoluzionario come Bowie quando, nel 2013, pubblicò uno dei suoi immensi capolavori, The Next Day. Chiude quest’album Heaven Underfoot un pezzo affidato ad un introduttivo arpeggio di chitarra acustica lievemente sostenuta da effetti che spianano la strada alle voci di un Bunton davvero geniale nelle proprie proposte. All Planes Must Land è ciò che di meglio si possa volere per chi ama certe atmosfere che si muovono in un country contaminato da pura psichedelìa e da quel rock che lascia spesso senza fiato per certi stacchi strumentali che la dicono lunga su chi ci si trova di fronte. Attendiamo ora che questo artista si immortali definitivamente con quei nuovi lavori di cui avevamo accennato nella nostra recensione di This Guy’s Disguised This Sky che potete leggere qui sulle nostre pagine. Insomma, anche questo All Planes Must Land crediamo meriti tutta l’attenzione possibile.

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