Steve Hackett – Please Don’t Touch

Questa seconda pubblicazione da solista di Steve Hackett, Please Don’t Touch, viene realizzata dopo l’uscita dai Genesis del musicista anche se resta, comunque, un passaggio non certo lusinghiero per un artista come lui. Please Don’t Touch è un disco irregolare con momenti sublimi ma anche con passaggi non proprio all’altezza del rinomato musicista che Hackett è. Comunque la pletora di interventi in questo nuovo lavoro è di tutto rispetto se si pensa che a collaborarvi prestano le loro qualità musicisti come Walsh ed Ehart dei Kansas, Chester Thompson dei Genesis e Weather Report, il cantante pop folk Richie Havens (che tutti ricordiamo a Woodstock), la cantante soul femminile Randy Crawford e altri che stare qui a citare diventerebbe davvero lungo e pretestuoso. Tutto ciò fa sì che Please Don’t Touch possa essere definito un album che pur non abbandonando le atmosfere della sua vecchia band, si muove verso composizioni più personali che fanno intravedere il nuovo viaggio di Hackett che realizzata un album “di mezza strada” e comunque sempre in perfetto stile hackettiano. Con Narnia, pezzo di apertura di Please Don’t Touch, ci si trova di fronte ad una incantevole chitarra ed alla voce di Walsh, proveniente dai Kansas, che fa un lavoro impeccabile nelle tre tracce in cui è coinvolto vale a dire NarniaRacing In A, e nella versione alternativa sempre di Narnia pubblicata come bonus track nella rimasterizzazione del 2005. E sono questi suoni dolci ad accoglierci in quel mondo che Hackett cerca di costruire passaggio dopo passaggio come avviene con Carry On Up The Vicarage che richiama moltissimo le sonate dei Genesis con la voce e le melodie che nella composizione sono intrise di effetti alla tastiera. E se gli effetti fanno pensare ad un’evoluzione futuristica di Please Don’t Touch in realtà si passa a Racing In The Guitars Show che è tipicamente stile Genesis fino a quando, ad un certo punto, Steve passa all’acustica intonando un classico doc stile Horizon che dimostra quanto il classicismo sia nelle dita di quest’artista. Kim, per dolcezza ed armonia compositiva, è un pezzo assolutamente da incorniciare grazie anche al flauto di John Hackett che ci richiama quelle vellutate sonorità stile Peter Hammill anche se, con quest’ultimo, siamo su un altro pianeta. How Can I? viene introdotta dalla grande voce di Richie Havens, perfetta e stupenda come sempre che viene accompagnata dalle chitarre acustiche e dal suono quasi baroccheggiante. Potremmo dire che qui, in questo brano, Hackett riporta un po’ di suoni di quell’Across The Universe beatlesiana difficile da riporre nel cassetto. Con Hoping Love Will Last la chitarra classica si pone al centro per una composizione che è da delirio grazie anche alle belle voci femminili che introducono ad un soul caratteristico proprio come è ora il pensiero hackettiano per questo lavoro. E mentre Land Of A Thousand Autumns propone gli stili più disparati di classicismo su chitarra tipici del geniale Steve, si giunge a Please Don’t Touch, da cui il titolo dell’album, che propone un aggrovigliarsi di suoni che si inseguono con inserimenti tipicamente prog della sua ex band. The Voice of Necam si spinge su una melodia di suoni differenziati e disomogenei tra di loro, ma la chitarra di Hackett ed il suo magico tocco sulle corde di nylon lo riconducono a quelle sue tipiche sonorità che lo hanno reso poi famoso. Chiude Icarus Ascending brano in cui la voce di Richie Havens fa compiere un salto qualitativo a Please Don’t Touch che non abbiamo capito se, nelle intenzioni di Steve Hackett, dovesse essere un disco dove le diversificazioni stilistiche dell’artista dovevano risaltare, oppure se era nelle sue intenzioni muoversi ad esplorare nuovi territori per lavorare su diversi fronti musicali visto l’enorme coinvolgimento di tanti musicisti in questa sua seconda avventura solistica. Per qualità, comunque, il disco ci lascia un po’ perplessi anche se per genialità poi, alla fine, c’è tutto.

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