I Soft Machine tra avanguardia, jazz-rock, prog e psychedelia. Third il capolavoro.

thirdThird, organizzativamente, può ben essere paragonato ad un altro capolavoro quale è Ummagamma dei Pink Floyd, ma è anche genio e cultura del Canterbury Sound. Il nostro viaggio continua…..

I Soft Machine sono sempre stati una delle band più influenti tra il finire degli anni 60 e l’inizio dei ’70, tanto da giungere ad essere definiti come uno dei gruppi inglesi psichedelici che hanno aperto la strada per la nascita sia del progressive rock che del jazz rock. Considerati il gruppo fondamentale della Scena di Canterbury, i Soft sono stati anche, grazie alle esperienze dei membri fondatori – Robert Wyatt e Kevin Ayers – gli avanguardisti del pop e del jazz-rock.

Tenendo presenti quelle che sono state le loro inclinazioni di natura sperimentale e d’avanguardia, le fondamenta dei Soft Machine sono state per certi versi sorprendentemente convenzionali. Nel 1966, Wyatt collaborando con Kevin Ayers, bassista dotato di grande esperienza e tecnica,  il tastierista Mike Ratledge, e il chitarrista australiano Daevid Allen formano il primo embrione di quelli che diventeranno poi i “grandi” Soft Machine.

Insieme ai Pink Floyd, altro fondamentale mostro della sperimentazione, sono stati tra i primi gruppi psichedelici formatisi nel Regno Unito diventando rapidamente una delle formazioni più amate nell’area metropolitana londinese, in particolare da coloro che, in quel periodo,  si riconoscevano nella psichedelica, allora agli albori.

Le prime incisioni dei Soft Machine, anche se erano di gran lunga vicine ad un pop orientaleggiante,  erano connotate da una personalissima inclinazione verso elementi sperimentali grazie anche ad insoliti accorgimenti musicali (per il rock), che facevano ben denotare la complessa interazione strumentale che ha poi dato il via a quell’innovazione musicale che diventerà, successivamente, la psichedelica.

Era il 1968 quando il loro primo album vero e proprio, Soft Machine – Volume One , fu prodotto e realizzato  per  la ABC / Probe. I rilevanti elementi melodici e le armonie vocali delle loro iniziali registrazioni hanno ormai lasciato il posto a strutture più impegnative quali rock psichedelico unito all’impulso dell’improvvisazione del jazz. Il gruppo, nel 1968, viene ingaggiato quale band di spalla per il tour di Jimi Hendrix, ed è proprio grazie a questo, che il gruppo diviene molto più noto all’estero che in patria. In effetti, il loro LP di debutto è registrato in pochissimi giorni proprio negli Stati Uniti, e fu proprio in quel 1968, che stranamente i Soft Machine ritornano ad essere un quartetto con l’aggiunta del futuro chitarrista dei Police, Andy Summers. Tale ingresso però non produce i risultati auspicati e ben presto i Soft tornano alla formazione iniziale.

Tornando alle produzioni musicali, dopo il notevole esordio dello stesso ‘68 con The Soft Machine Vol. One,  un secondo disco fondamentale come Volume Two viene realizzato nel 1969, ma è nel 1970 che si concretizza quel disco che getta le basi del rock di Canterbury,  un terzo disco monumentale come va definito Third, il loro capolavoro assoluto, considerato uno degli album essenziali di jazz, rock e classica degli anni ’70.

Questa recensione però, non vuole fuorviare i nostri lettori da ciò che stiamo configurando come la Scena di Canterbury;  infatti, è proprio in questo contesto che si colloca Third, capolavoro che abbiamo definito assoluto proprio per quella scena a cui ha dato vita, un genere ben configurato e che diventerà scuola. Ed è  proprio in questo album,  che è contenuto un esempio di sound canterburyano, Moon In June considerato uno dei pezzi più rappresentativi di tutta la Scena di Canterbury.

Third, organizzativamente, può ben essere paragonato ad un altro capolavoro quale è Ummagamma dei Pink Floyd, ed è composto da solo quattro tracce che rivelano la genialità e la cultura di questo immenso gruppo che tanto ha rappresentato per le formazioni del filone canterburyano – e non solo per quelle secondo noi – che verranno subito dopo di loro.

Su Third il sound è al di sopra di tutto, diventa geniale anzi, sembra si proietti verso  intenzioni rumoristiche che ben presto fanno emergere stilismi e tecniche di realizzazione strumentali uniche. Non è jazz, ma nemmeno rock, è qualcosa che va al di là delle etichettature, è di certo ricerca sonora ma anche sofisticata qualità.

Non è scontato qui poter affermare che Third, oltre ad essere il disco che conferma le qualità polistrumentiste di Robert Wyatt è una delle punte di tutto il progressive inglese.

L’album in questione è un vero e proprio “capolavoro” che esalta la creatività dei Soft Machine facendola emerge in tutte le sue sfaccettature, ma è anche l’album del definitivo addio alla band di uno dei mostri sacri della psichedelìa progressive di allora e del futuro che verrà, quel Wyatt che ha avuto una posizione prevalente per la nascita del sound di Canterbury, così come per il prog ed il post-prog-rock.

Insomma un grande gruppo per uno dei più grandi album, anzi, capolavori di tutti i tempi.

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