Failin’ Gods” è il nuovo album dei Faintin’ Goats, in uscita il prossimo 12 Maggio

Elettronica, tempi marziali, rumori, ciò che resta del concetto di chitarre, ripetizioni, campionamenti e voci più o meno cinematografiche sono le coordinate del duo diviso tra Benevento e Bologna.

Dopo la pubblicazione di Monomania, l’album di esordio del duo Faintin’ Goats, dove è facile trovare musica rock che si divide tra suoni classici e sperimentali, adesso è la volta di Failin’ Gods il loro nuovo lavoro la cui uscita è prevista per il prossimo 12 Maggio. Tra l’altro l’album è “sponsorizzato” da diverse etichette quali E.C.T. (Grecia), Dirty Beach, Bulbless e Oh!Dear (Italia), segno evidente questo che c’è tanta gente che crede nella band e nella loro musica. Già dall’album d’esordio si capiva bene quali fossero le inclinazioni sonore di Alessio Del Donno e Daniele Pescatore che in queto nuovo lavoro hanno potenziato la loro idea iniziale, proposta con Monomania, ed infatti l’attitudine alla sovversione musicale, ad un vero e proprio dadaismo sonoro in cui domina la potenza della corrente è il risultato di una concettualità sonora che è diventata musica. L’ironia nera tiene insieme le 13 tracce del disco. “Killing Social Moods”, instant classic in apertura, è una “Flat beat” sottoposta a un processo di degradazione morale. “Declaration”, alla Suicide, è un tappeto di chitarre inacidite dalla vita e synth che cinguettano una colonna sonora dell’assurdo. In “Sweat” e “Cosmological problem” le drum machines sono impastate nella betoniera delle alte frequenze, perse in una infantile, quanto orrifica lullaby land. “Cybergoat” è pugilato. In “Shame Talking”, circondata da sequencer, preceduta da fraseggi alla Cul de Sac, la voce di Del Donno risulta momentaneamente libera dalle grinfie delle distorsioni. Dopo “Sounds Good”, parentesi psichedelica del disco, “Bad Max” è una forma di stupro o tutt’al più un inno alle ambivalenze della paura. Dopo “Clap your Heands…” e “Head Back”, c’è ancora spazio per l’inatteso. La traccia conclusiva del disco è un sigillo ironico, in cui la sintesi vocale (plurilinguistica e spersonalizzante) di Google, in una sorta di ready-made, trova una nuova spiazzante collocazione, ricordandoci e riconsegnandoci, una volta per tutte, al pericolo della vita lì fuori. Sembra già passato tanto tempo dall’esordio della band, eppure, il loro industrial-noise-pop è un viaggio introspettivo nel cuore e nella mente, un incontro con i suoni più terreni e spaziali che ci siano dove il noise si intrufola nella giusta misura lasciando un buon sapore a chi ascolta questa loro nuova produzione, Failin’ Gods.

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