Black Country, New Road: For The First Time, un album davvero grande

Un album stratosferico e coinvolgente, un album dal suono diverso e penetrante, un album che sembra aprire ad una nuova scena inglese ma, al di là di tutto, è comunque un album che non potete perdervi.

Ci giunge dall’Inghilterra un disco che per certi versi ci ha lasciati stupefatti. E ci ha lasciati così stupiti perché la musica che abbiamo ascoltato ci ha preso sia per la qualità che per l’idea complessiva che vi abbiamo trovato dentro.  Infatti da una parte ci trovi ritmi che personalmente mi riportano indietro ad antiche ricerche sulle tribù berbere, dall’altra invece la musica è di quel rock d’avanguardia un po’ contaminato dalla world music e dai ritmi dei popoli del sud – intendo quelli del sud Italia -. Insomma con i Black Country, New Road, For The First Country diventa un viaggio vero e proprio nella musica contaminata e ricercata che tanto abbiamo assaporato in questi ultimi anni, quando da inviati ci siamo mischiati con la gente che ha seguito, come fosse una vera e propria tradizione, l’ormai conosciutissima Notte Della Taranta che ogni anno si tiene in Salento. Devo dire che non solo quella è stata unica esperienza di contaminazione a cui abbiamo assistito perché, in passato, in un nostro viaggio in Africa, questa contaminazione musicale l’avevamo già assaporata. For The First Country  è un disco che dà modo di pensare e riflettere, di assaporarne i suoni ed i battiti come accade con il brano di apertura, Instrumental, che è un vero e proprio bagno di suoni, suoni che richiamano proprio quei riti di tarantulae memoria.

E mentre il disco prosegue con Athens, France, il rock che arriva ci riporta certi richiami ai Doors o ai Red Hot, suoni che una volta miscelati ben bene ci offrono questo risultato piacevole, colmo di atmosfere dolcissime e contrastanti che colpiscono grazie alla bellissima voce di Isaac Wood che diventa strumento a seconda delle situazioni. Ed è questo il pezzo che un po’ ci parla klezmer ma trascina anche verso un jazz di ispirazione europeista per buttarsi, poi, in un free affascinante che giunge con Scienze Fair in una  pura follia musicale, un’idea geniale che spezza il ritmo per ricordarci che tutti i suoni fanno la musica. E l’idea di Isaac Wood e dei suoi è davvero grande qui perché, dal caos scaturisce quella stupenda chitarra che nei tocchi ricorda molto quelli di Jeff Buckley anche se poi la voce di Isaac è comunque tutta un’altra cosa …. anche lei unica e grande. Poi giunge Sunglasses, il pezzo che la band ha riregistrato per essere inserito nel migliore dei modi insieme agli altri brani di questo For The First Country. Un bel risultato anche qui che dà ragione a certi rifacimenti ben studiati.  Poi, il giungere di Track X con quel basso che sembra giocare ci porta tanto di quel grande sound da farci traballare mentre scriviamo questa recensione che state leggendo (!).

E così più il pezzo va avanti più ci si accorge che questo è in realtà il brano dove il “sentimento” straborda ed allora, la musica totale, ha finalmente il sopravvento. Quando si giunge ad Opus il sound si fa finalmente liberatorio, meno ancorato a schemi tecnici, meno cervellotico e sicuramente di grande espressività con quel jazz e quella marcia che richiama temi zigani e slavi del meridione, un popolar-jazz che tanto coinvolge. For The First Country è un album stratosferico e coinvolgente, un album dal suono diverso e penetrante, un album che sembra aprire ad una nuova scena inglese ma, al di là di tutto, è comunque un album che non potete perdervi.

Tracklist

  1. Instrumental
  2. Athens, France
  3. Scienze Fair
  4. Sunglasses
  5. Track X
  6. Opus

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