Pip Carter – The End From The Beginning Pt. 1

Spensieratezza, psichedelia, una buona dose di underground ed il dado è tratto. Questo potrebbe essere il sunto per avere una descrizione completa del Pip Carter che dalla terra modenese ci proietta in un sound che ha il sapore di quella America di tanti anni fa, anche se poi la band gioca bene anche con elementi innovativi. E la propensione ad una musica dal chiaro sapore psichedelico non poteva essere diversamente considerato che Pip Carter era un vecchio amico d’infanzia di Syd Barrett al quale proprio la psichedelia deve tutto…o quasi. Ma veniamo a questo disco che, mantenendo il moniker della band, è ora tutto nelle mani di Claudio Luppi, un Luppi che fa tutto compresa la produzione, un disco che di diverso ha solo la nostalgia di un bel passato musicale dove l’incontro di diversi generi è alla base. Già con l’apertura affidata a Who’s Thath Girl si capisce che ci troveremo di fronte ad un disco che macina spensieratezza rock a tutto spiano, leggerezza confermata dalla successiva King Size che sembra avere il primo suono di certi “fenomeni dell’età del suono” come lo sono i Rolling. Anche Last Day si mantiene su soffuse toccate vicine a ballate di un passato che ritorna con tanta nostalgia. Con Please un grande blues rock ci viene offerto a tutto spiano quasi a rifocillarci di quanto di bello abbiamo fin qui ascoltato, un pezzo dolce e canonico che ripiega su atmosfere delicate che sinceramente piacciono.

Segue il rock’n’roll di It’s All For Me che non dispiace a questo punto del disco perché sembra di volare a colpi di “eco” e di svisate chitarristiche che non dispiacciono, mentre con Hard To Claim un po’ di english sound non guasta anzi, qui, l’ombra dei Blur sembra calare sul prodotto che a nostro avviso è davvero un buon prodotto anche se non saremo noi a dare a nessuno alcuno scettro. Ma il pezzo a noi è piaciuto davvero molto come tutto il disco che ha il piacevole sapore della buona musica. E non mancano i momenti in cui l’aria che si respira è proprio quella di un’America dove a cantare controvento c’è sempre un grande Neil Young capace di stravolgere le etichette con semplicità. Proprio come il Pip Carter della struggente I’m Coming Home che chiude il disco.

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