Bent Knee – You Know What They Mean

L’ultimo album della band di Boston è un’esplosione di genialità e creazione sonora con una forte propensione a far incontrare prog, elettronica e generi come lo stoner.

I bostoniani Bent Knee si sono ripresentati nel 2019 con un disco che ammicca a diversi generi musicali quali il pop, senza mai smarrire la strada maestra dell’avant rock al quale la band ha sempre guardato con interesse. You Know What They Men, per chi ama le atmosfere cangianti, risulta essere vario sì ma allo stesso tempo compatto ed omogeneo, una produzione dove tutti i pezzi non perdono mai il contatto tra loro ed infatti nessun brano sembra, a nostro avviso, stonare nella sequenza assegnata. L’album e tutto un’esplosione di genialità e creazione sonora con una forte propensione a far incontrare prog, elettronica e generi come lo stoner amalgamandoli tra loro come solo i Bent Knee sanno fare. L’intro affidato a Lansing personalmente mi ricorda quella introduzione che Lou Reed fece con la registrazione live di Take No Prisoners nel 1978, ed in particolare con il suo lungo interloquire con il pubblico prima di attaccare con Sweet Jane. Provare per credere. La durezza oscura di Bon Rage ci piomba subito addosso con la presenza di una chitarra che sembra voler prendere fuoco quando fa da guida a tutti gli strumenti, tuffandosi in un desert stoner che pesca anche nella new wave più orientata alla stravaganza sonora Ma in You Know What They Mean non mancano le puntate verso l’art rock e ne è esempio lampante Give Us The Gold grazie anche e soprattutto alla splendida voce di Courtney Swain che mette in risalto, qui, tutte le sue potenzialità di vocalist rock. C’è ben poco da aggiungere per questo pezzo perché tutta la potenzialità dei Bent Knee sta proprio qui, almeno secondo il nostro modesto parere. Con la successiva Hold Me In la band dimostra la grande capacità di saper manovrare i suoni tra atmosfere dure e morbidezze vocali che danno il senso a tutto You Know What They Mean vero e proprio coacervo di suoni, un album che mancava ai nostri estenuanti ascolti. Ed il trasformismo della band bostoniana continua con l’estrosa Egg Replacer dove il minimalismo dei suoni è il centro di una scrittura musicale perfetta, senza sbavature e dove tutti gli spazi sono coperti, come sempre, anche dalla splendida voce di Courtney Swan. Cradle Of Rocks è un altro brano che gioca tra schitarrate, synth e tanta vena punk, quasi un taglio netto con quello fin qui ascoltato. E probabilmente ciò è dettato anche dalla scelta di non rendere alla fine You Know What They Mean un disco semplicemente orientato al genere specifico, bensì un semplice costrutto di tempi diversi dove la bravura dei Bent Knee emerge in tutta la sua unicità. Insomma, basta questo Cradle Of Rocks a far capire che loro non sono unicamente etichettabili come indie. E quando arriva Lovell siamo ancora una volta ad un intermezzo stile Lansing, quasi un capriccioso ritorno alle origini di questo lavoro. La combinazione delle voci accompagnate da una chitarra dal suono duro e prolungato la troviamo in Lovemont un pezzo sicuramente tra i più interessanti di You Know What They Men per la combinazione cangiante di atmosfere. Dall’altra parte, perfettamente contrapposta a Lovemont, ci troviamo di fronte a Bird Song brano di brevissima durata ma che si presenta morbido grazie alle voci ed ad un tocco di pianoforte suonato in maniera vellutata, unica traccia soffice dell’album che funge anche da intervallo dove le voci di Ben Levin e di Courtney Swain sono, semplicemente, fantastiche. Con Catch Light si cambia genere piombando in pieno kraut rock con un bel basso che si muove in pieno jazz per giungere agli ultimi tre pezzi, Garbage SharkGolden Hour It Happens un pezzo indie che si muove su sonorità acustiche ed un progressive sperimentale leggero che dopo tanta elettricità non guasta. Un disco da ascoltare e gustare allo stesso tempo collocandolo gtra una delle novità più interessanti dell’anno appena conclusosi.

 

 

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