Tortoise – The Catastrophist

The Catastrophist offre alcuni brani interessanti come The Clearing Fills, dall’atmosfera sognante, Hot Coffee, dalla lirica oscura, anche se con l’apertura affidata proprio a The Catastrophist il lavoro si presenta pieno di quelle atmosfere morbide alle quali i Tortoise ci hanno abituato. Certo qui manca quell’enfatizzazione dei suoni tipici del gruppo, ma c’è anche da dire che ogni lavoro della band americana sorprende sempre. The Catastrophist sembra agganciarsi ad atmosfere dalle strutture multiformi che permettono al combo fondamentale di improvvisare con suoni ricercati, molto meglio che in passato. L’album sembra che abbia avuto una creazione e realizzazione più lenta, fatta di ricerche sia sulla strumentazione che sui campionamenti con una fondamentale dose di improvvisazione che vaga tra una no-space ed un reale bisogno di nuovi percorsi sonori. Si potrebbe ben dire che il minimalismo fa qui la sua parte come non mai se non fosse che la conoscenza di questa band ci impone, come sempre, di andare cauti con le affermazioni. Tutti i pezzi sono stati originariamente concepiti per dare spazio all’inserimento di altri musicisti solo che, questi ultimi, non vengono inseriti come si fa spesso con gli ospiti, bensì coinvolti nella base di una scrittura già composta. Nonostante ciò però i Tortoise presentano l’album come un lavoro pieno di idee, idee che si amalgamano alla perfezione con quanto la città di Chicago aveva loro commissionato per descriverne la sua radicalità nel jazz e nell’improvvisazione. E così accade che le undici tracce che compongono The Catastrophist, pur togliendo qualcosa a quanto i Tortoise hanno nel tempo rappresentato, sono il risultato di una descrizione sonora di una Chicago multiforme, languida, comunque sia bella da vivere. Lo dimostrano i capricci creativi che sono la base di questo disco pubblicato nel 2016. Peccato che stavolta però i Tortoise dimostrino una certa mancanza di coraggio nelle scelte musicali, cosa questa che nei precedenti dischi era quanto mai lampante. Il risultato è comunque, alla fine, quello di un disco che per l’ascolto ha bisogno di una predisposizione personale perché se a volte può apparire monotono, nella sua cromaticità, resta un passaggio che potrebbe far storia nel post rock. È nel dna dei Tortoise essere tutto questo, quello che ti aspetti da un loro disco non coincide mai e la loro continua ad essere una storia musicale dalla quale non si prescinde, una storia che volutamente ha portato la band americana a rischiare più volte ma si sa, loro, non guardano mai alle vendite. In fondo essere musicisti vuol dire anche questo.

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