Steve Hackett – At the edge of light – 2019

Dopo aver pubblicato nel 2017 The Night Siren, il poliedrico chitarrista Steve Hackett, con un piede sempre in atmosfere tipiche dei Genesi dei quali, nel quarantennale della pubblicazione, propone il tour “Steve Hackett 2019 Genesis Revisited – Touring Selling England By The Pound & Spectral Mornings & Album Highlights” che toccherà anche la nostra penisola dal 14 al 20 luglio prossimi, ha pubblicato, all’inizio di questo anno, un nuovo lavoro At The Edge Of Light (letteralmente  Al Limite Della Luce) che prosegue, sia in atmosfere che in musica, nel discorso intrapreso dall’artista con l’ultima produzione del 2017. E’ probabile che Hackett abbia voluto effettuare questa scelta probabilmente anche perchè The Night Siren ha riscontrato un considerevole gradimento del pubblico. Certo la pletora di musicisti che circonda Hackett è notevole, ma è sufficiente l’esperienza di un grande musicista, qual è lo stesso Hackett, per rendere anche questo un lavoro dove il prog si mescola con una world music di tutto rispetto.  At The Edge Of Light, registrato principalmente nello studio privato dell’artista ed in altre parti del mondo, si presenta con una serie di musicisti che hanno prestato la loro collaborazione come Durga e Loreley vocalist dei Pink Floyd e tanti altri provenienti dalla Svezia, United States e così via, insomma un crogiuolo di strumentisti che mette a disposizione di questa produzione tutte le esperienze maturate in anni ed anni di carriera. At The Edge Of Light apre con un pezzo davvero ragguardevole, Fallen Walls and Pedestals, che si ricollega perfettamente alle sonorità espresse in The Night Siren, un pezzo dove il rock è chiaramente quello tipico dell’ex Genesis anche se, stavolta, Hackett gioca magistralmente influenzando il brano con tocchi tipici della world music, ed il sostegno di un’orchestrazione che supporta la chitarra dello stesso Hackett protagonista assoluta. Beasts in Our Time, il cui testo è propriamente politico perché richiama il periodo storico di lord Chamberlain, cambia completamente sonorità pur restando ancorata ad una composizione strumentale tipica dello stile hackettiano. Il pezzo si  presenta in apertura con un bell’arpeggio per poi scivolare su un tappeto di sonorità dove tastiere, chitarra acustica e  flauto, quest’ultimo suonato dal fratello John Hackett, hanno il loro bel da fare per rendere Beasts in Our Time  un brano che si distente sulle orchestrazioni rendendolo molto vicino al brano di aperura. Solo nella parte finale del pezzo, poi, ci ritroviamo di fronte ad un progressive come solo Steve Hackett sa  fare. Ma il bello giunge con Under The Eye Of The Sun, progressive alla Yes, una traccia davvero eccellente per le partiture proposte che variano tra un progressive vecchio stampo ad atmosfere world music dove, tutto, è “sogno”, un sogno che ritorna subito sulla strada maestra di cui Hackett è assoluto padrone. Non si può però qui non evidenziare che l’amicizia con Howe ha, probabilmente, influenzato il pezzo dato che le atmosfere sono proprio quelle tipiche degli Yes. Con Underground Railroad il mondo si capovolge, la musica è un salto indietro nel tempo ad un periodo in cui i raccoglitori di colore facevano ricca l’America mentre quest’ultima li schiavizzata. E così tutto diventa una sorta di lamento che nel lento progredisce di note porta la chitarra di Hackett, insieme alle tastiere, a  porsi irrimediabilmente in primo piano. Di certo Underground Railroad è il pezzo che più di tutti preferiamo ed è probabile che, ascoltandolo, ne capirete anche il perché. Con Those Golden Wings ci troviamo in pieno territorio Yes senza che nessuno degli elementi di questa band ne faccia effettivamente parte. Anche Shadow And Flame è un’ulteriore traccia di spicco dell’album che richiama i ritmi world di cui parlavamo innanzi; l’innesto del sitar poi, nel rendere psichedelica tutta l’armonia, conferma che questa produzione è anche una sorta di ricerca anzi, per dirla tutta, sembra che l’ombra di tribalità di cui è intriso diventi, pezzo dopo pezzo, il succo di tutto questo At The Edge Of Light, vero e proprio viaggio voluto dal grande Steve. The Hungry Years è invece un brano che richiama uno dei periodi più importanti nell’evoluzione del rock, quello degli anni ’60, con quelle tipiche atmosfere che viaggiano tra un country vecchio stampo ed un rock in evoluzione totale. Fondamentali qui le voci di Hackett e Amanda Lehmann che portano piacevolezza d’ascolto. Il terz’ultimo brano invece, Descent, oltre che essere un vero e proprio bolero cadenzato apre ai due ultimi pezzi di chiusura che sono il succo della riflessione compositiva che Hackett ha messo all’interno di At The Edge Of Light. E così la chiusura della riflessione musicale di Hackett la si trova tutta qui. Infatti Conflict  riassume tutta l’idea del musicista inglese in 2’36” che ci propone un rock che non è solo progressive ma qualcosa di più profondo, una profondità che, finalmente porta a Peace  degna chiusura di At the The Edge Of Light dove si trova il sunto di tutte le atmosfere delicate prodotte in questo disco, tra le quali quel progressive di cui Hackett è maestro. Certo a noi è sembrato di incontrare alcune analogie con i C.S.N.&.Y ed in particolare con quel meraviglioso brano che è Ohio, ma mi chiedo se tutto ciò sia un caso visto che questa recensione la scriviamo oggi che è il 4 luglio giorno dell’Indipendenza americana.

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