Picchio Dal Pozzo – Picchio Dal Pozzo

Se state ascoltando Picchio Dal Pozzo mentre leggete questa recensione, vi ricordo che non siete nella tranquilla Canterbury ma in Italia. Anzi se mi permettete, la terra che state sonoricamente calpestando con l’ascolto di questo bellissimo disco, è terra genovese, una delle città più belle della Liguria che ha dato all’italico sound e non solo a quello, nomi come quelli di Paolo Baltaro, Garybaldi, La Coscienza Di Zeno. E quello che state facendo passare ora è uno degli esordi più stupefacenti mai registrati in Italia, pur essendo nell’ormai lontanissimo 1976. Eppure, nonostante l’età, Picchio Dal Pozzo è ancora uno dei dischi che guai a perderselo. Questa band, nella quale troviamo anche un certo Vittorio De Scalzi, è in grado di proporre uno tra i migliori sound di quel progressive le cui radici sono per l’appunto riascoltabili in molte produzioni del Canterbury sound. La cosa interessante però è che nonostante ciò, la musica è sempre ben concepita, personalizzata, non ci sono, come spesso accadeva per altre band, nessun tipo di emulazione; qui c’è solo tanta creatività di ottimi musicisti molti dei quali provenienti dal jazz rock e si sente nella spazialità musicale di Picchio Dal Pozzo che viaggia su binari ogni volta differenti ed i cui stili sono rintracciabili nell’ascolto di altisonanti nomi quali Frank Zappa, o addirittura la musica di Stravinskij. Qui, nei solchi di questo disco, la contaminazione di generi è il mantra di tutto, nessun abbandono da parte della band alla ripetitività, ogni passaggio è una cadenza diversa, pensata, provata e riprovata per un eccellente risultato. E l’aleggiare dell’ombra di Robert Wyatt o dei Soft Machine non distorcono le idee di una band capace di rischiare con un progrock fuori dai canoni italici del periodo.

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