Museo Rosenbach – Zarathustra

Quello di cui vi parleremo è un vero gioiello della musica progressiva italiana degli anni settanta. Nonostante l’età, Zarathustra, del Museo Rosenbach, resta uno dei migliori dischi sia per l’originalità ch pere la creatività di cui è intriso, un disco che pur vicino alla musica rock non dimentica gli stili di un classicismo di prim’ordine. Vale però la pena ricordare qui che al momento della sua pubblicazione, Zarathustra scatenò diverse polemiche non tanto perché il lavoro è interamente ispirato all’opera di Nietzsche ed al suo controverso lavoro Così parlò Zarathustra, quanto per quelle che sono state le sue opere d’arte che si muovevano tra dittatori, carceri, antichi edifici e così via. Ma quello che più fece infuriare certi opinionisti dell’epoca fu la dichiarazione da parte di Nietzsche: “Dio è morto”, divenuta poi una delle massime del lavoro di Friedrich pubblicato tra il 1883 ed il 1885. Ciò che sarebbe accaduto poi al filosofo, morto di sofferenze e depressione è storia e basta. E veniamo al nostro disco: il lato uno è interamente occupato da una suite intitolata proprio Zarathustra, della durata di quasi ventuno minuti, ma non c’è da meravigliarsi perché le band progressive del periodo erano più che mai propense a realizzare pezzi di notevole durata. In realtà la suite si presenta come una specie di multitraccia suddivisa in cinque parti che racconta la discesa di Zarathustra dalla montagna dopo un lungo periodo di meditazione, ma racconta anche degli incontri che il filosofo ha anche con altri personaggi che in realtà rappresentano ulteriori scuole di pensiero e che lo stesso profeta critica ferocemente. L’Ultimo Uomo, il primo dei cinque movimenti, si apre con un soft prog che ci ricorda Strauss anche se poi, immediato è l’essere catapultati in un concetto di musica ben più ampio ed in continuo crescendo. Segue una parte silenziosa dove si inserisce la voce, accompagnata da eco e riverbero, che rappresenta la discesa di Zarathustra dalla montagna. Dopo diverse ripetizioni, più o meno cupe, ma comunque molto delicate, il maestoso tema principale del movimento ritorna con un’interazione tra hammond, mellotron e chitarra accompagnata da una sezione ritmica molto pesante. Solo pochi minuti e sembra di essere invitati con successo a partecipare al viaggio unico che il Museo Rosenbach sta portando avanti. Il movimento successivo, Il Re Di Ieri, governato da organo e piano molto riverberati, rendono l’atmosfera insicura. E così dopo un breve assolo di sintetizzatore la voce di Giancarlo Golzi si inserisce alla perfezione. All’improvviso, la sezione ritmica accompagnata da una chitarra distorta si unisce allo spettacolo, portando al brano successivo, Al Di La Del Bene E Del Male. Qui tutto è piuttosto aggressivo con l’intero movimento che vede i Museo Rosenbach cantare per illustrare la massa dei sacerdoti che denunciano Zarathustra e i suoi insegnamenti. Attraverso il cantato seguente “Superuomo“, viene mostrato il momento di debolezza che Zarathustra sta vivendo. Qui l’atmosfera inizialmente malinconica passa successivamente a numerosi movimenti dinamicamente contrastati, che rappresentano un Zarathustra che rivendica il suo potere. Il movimento di chiusura, Il Tempio Delle Clessidre, che si apre con un mellotron celestiale e ammaliante ricorda molto il “Watcher Of The Skies” dei Genesis, fino a quando il tema principale di L’Ultimo Uomo torna ad essere la pièce caratterizzata da un forte assolo di chitarra tra le varie intersezioni di organo, archi, basso e batteria. Questo movimento, potente e maestoso, è così superbo da far riflettere chiunque, anche coloro che di musica così non ne conoscono l’esistenza. Con Degli Uomini il Museo Rosenbach passa da alcune sezioni contrastate a momenti di pura raffinatezza come lo è ad esempio Della Natura mentre è la traccia di chiusura, Dell’Eterno Ritorno, che ripercorre un sound tosto ma fatto di ottimi passaggi rock prog che fanno risaltare tutte le capacità della band. Ma cosa ha questo album di così importante da essere considerato una delle nostre italiche produzioni fra le più grandi mai registrate? E’ possibile che il segreto di questo grande disco stia tutto nel perfetto equilibrio tra quelle che sono le parti cantate e quelle strumentali, di sicuro però è che in Zarathustra, la chitarra, che in altri lavori di band dello stesso periodo è quasi secondario nelle scritture progressive, qui invece sembra giocarsi alla pari un ruolo di primo piano con le tastiere, il tutto a favore del raggiungimento di un’eccellente risultato musicale che non può essere comparato con quello di altri dischi. Ma, al di là delle nostre forse troppo tecniche disquisizioni, Zarathustra non può non essere considerato fondamentale nella storia del rock italico, e questo anche al di là di quanto critici più affermati di noi possano pensare.

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