I Hate My Village per la tribalità di una nuova band

In soli nove pezzi ci siamo immersi in un vortice sonoro e colorato attraverso un viaggio che fa riscoprire la grande Africa

Questo è un periodo in cui il proliferare di artisti che, provenienti da altre band si ritrovano insieme per mettere in musica idee nuove sul mercato musicale sempre più attento alla scena underground. Come già avvenuto ad esempio per i Winstons anche stavolta analizziamo un album di una band che sotto il nome di I Hate My Village riunisce, per produrre questo bel lavoro, nomi del calibro di Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Fabio Rondanini dei Calbro 35 – Afterhours, Alberto Ferrari dei Verdena e Marco Fasolo dei Jennifer Gentle. E gli I Hate My Village realizzano nove splendidi pezzi che ci portano, volenti o nolenti, in sonorità frenetiche capaci di sprigionare una serie di emozioni davvero inconsuete. Sarà che la matrice di provenienza dei musicisti è riconducibile a quel nuovo underground italiano che è in continuo fermento, ma qui, quello che più stimola sono le matrici prettamente africane che attraverso blues, rock e psychedelìa ci fanno piombare in un mondo “quasi” inconsueto per noi. Non fosse stato per il fatto di aver, in gioventù, studiato i ritmi delle tribù berbere dei confini sarhaiani, sarebbe difficile calarsi in questo contesto musicale che si tuffa anche verso puri stati psichedelici ed allucinogeni. Questo progetto nasce da un’idea di Adriano Viterbini e Fabio Rondanini che, accomunati da una comune passione per la musica africana, sono sati attratti dalla curiosità, e forse necessità, di lavorare sull’evoluzione di tali suoni tant’è che iniziano a lavorare insieme sviscerando delle idee per poi mettere, grazie a Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, queste nuove idee, diventate veri e propri brani che l’ascolto non può tralasciare. E così, mentre i due si trovano di fronte a risultati inaspettati giunge anche il momento di coinvolgere Alberto Ferrari dei Verdena facendo sì che questa nuova esperienza sia davvero un nuovo viaggio musicale con la realizzazione di I Hate My Village. L’intro di I Hate My Village è affidato ad un pezzo che già la dice lunga su dove questo viaggio potrebbe portarci, infatti Tony Hawk Of Ghana è l’esempio di come il tipico suono africano si presti ad innesti che vanno dal blues al funk attraversando contaminazioni elettroniche che non sopraffanno mai l’idea e la proposta che la band ha in animo. E questo modo di fare lo troviamo anche nel successivo pezzo che è davvero di una potenza strabordante, tanto da rendere Presentiment  un presagio di cosa sarà, alla fine questo disco degli I Hate My Village. Acquaragia è intrisa di quella ritmica ossessiva si ma mai fuori dai binari grazie all’amalgama con i suoni elettronici che rendono il pezzo di una piacevolezza unica, quasi fossimo in viaggio verso l’infinito…ed oltre! Poi i 44 secondi di Location 8 fanno il resto per chiudere questa parentesi. L’apertura di Tramp si può dire che sia l’esempio più fulgido e lampante di come le esperienze musicali di Viterbini, Rondanini, Ferrari e Fasolo siano messe qui non a confronto ma l’una al servizio dell’altro. L’analisi dell’album continua, a questa volta arriviamo direttamente a Fame che se da un lato richiama musica e poesia di gente come De Andrè o Waits, con Bauhm  ci fa ripiombare in pieno deserto africano quando, al calar della sera, i fuochi delle tribù tribali sono la luce ed il calore che calmano gli animi di chi ha alle spalle una dura giornata desertica. Un album che piacerà anche a chi di questo genere ne ascolta poco, un lavoro capillare e geniale che solo chi è sempre in cerca di nuove esperienze poteva realizzare e gli I Hate My Village di esperienza ne hanno da vendere.

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