The Cure – Seventeen Seconds

Seventeen Seconds venne pubblicato ad aprile del 1980 con una grossa novità rispetto ai precedenti lavori. Infatti fu in questo disco che vennero inserite per la prima volta le tastiere che modificaro un po’ il sound della band. Le sonorità sono sempre più rivolte ad un post punk elaborato tanto da sembrare, a volte, una sorta di marcia funebre che fa da sfondo ai testi. Infatti, rispetto all’esordio qui, il sound diventa più oscuro e tetro, quasi ad anticipare alcuni momenti anche sociali che verranno in seguito. L’apertura di Seventeen Seconds affidata al brano A Reflection è già un’anticipazione della nuova linea musicale e compositiva dei The Cure grazie all’uniformità della linea chitarristica ed alle melodie che sono calde, sostenute da un sintetizzatore d’alto rango oltre che da un basso che sa il fatto suo in termini di cucitura. Dal punto di vista lirico, invece, questo brano si avvicina molto di più ai temi trattati in Three Imaginary Boys e molto più romantici rispetto agli altri presenti in questo Seventeen Seconds. Qui i flussi strumentali che si sviluppano sono molto diversi in rapporto ai testi che risultano piccoli e non influiscono, comunque, sulla profondità delle liriche e della composizione dell’album in generale. Play For Today, con la sua linea musicale, ci introduce invece in questo nuovo sound che i Cure incarnano, grazie al vertiginoso taglio post e ad un punk oscuro che viene ancora accentuato dalla voce tetra e teatrale di Robert Smith. Con il successivo Secrets, invece, si ha un rallentamento nel ritmo dell’album con una costruzione del pezzo che contiene una bellissima traccia di basso ed irresistibili manipolazioni di chitarra. A tutto ciò si aggiunge poi un pianoforte mantenuto su sonorità drammatiche, quasi un biglietto da visita della band. Ma le sorprese non sono destinate a finire perché questo, a dispetto di quanto scrivono in tanti, per noi è il vero album dei The Cure. A questo punto del cd giunge la fantastica In Your House che porta ad accomunare questo pezzo ad uno dei tanti a firma Cobain mentre con Three si viene catapultati su uno stile più elettronico, quasi sperimentale, e comunque d’atmosfera grazie al campionamento dei suoni in studio. Con The Final Sound, anche questa traccia dalla marcata oscurità, si tocca uno degli apici del sound dei The Cure, una sorta di introduzione a quello che è il brano successivo, A Forest, il vero apice di Seventeen Seconds che mette in mostra quello che sarà il futuro della band con una chitarra che è ancora una volta il centro di tutto il suono. Ma ci sono anche esperimenti sonori oltre ad un post punk costruito alla perfezione e che completano la bellezza di quest’album. Seventeen Seconds ha un approccio che si avvicina molto ai successivi Faith del 1981 e Pornography del 1982, ma sinceramente qui ci sono pezzi più alla portata di tutti, anche di coloro che non sono mai stati e mai saranno estimatori dei The Cure o di quel gothic rock di cui i la band di Smith ne sono una parte importante. Seventeen Seconds apre ipoteticamente quella che è considerata la trilogia di ghiaccio dei The Cure che comprende gli album pubblicati in successione quali Seventeen Seconds, Faith e Pornography, un po’ come quella trilogia berlinese, forse più famosa, composta da David Bowie. Di sicuro, di questa trilogia oscura, Seventeen Seconds, è l’album più accattivante per gli estimatori della band inglese, quello con sonorità che influenzeranno il sound definitivo dei The Cure, una formazione che sta al centro di altri gruppi del periodo come i Siouxsie And The Banshees, Joy Division, Echo And The Bunnymen. Ora ai posteri l’ardua sentenza….

 

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