Steve Hackett – Voyage Of The Acolyte

Grande esordio solistico di Steve Hackett che pur avvalendosi dell’apporto di alcuni Genesis, come si nota dalla presenza in questo lavoro di alcuni dei membri della band, produce un lavoro già di per sè fantastico e che anticipa alcune delle sonorità che lo vedranno impegnato in futuro quando abbandona il gruppo di Gabriel and C. Voyage Of The Acolyte è un disco che è di fatto molto radicato in quello che è il classico stile progressive dei Genesis ma la svolta sta tutta nel fatto che questa prima produzione solistica di Hackett è ben radicata nella musica. Infatti l’album, se dovessimo misurarne gli spartiti, è per la maggior parte strumentale con tracce che raggiungono, come in certi frangenti genesiani, anche gli undici minuti. Ma ci sono anche pezzi che pur nella loro consueta durata prog mettono in luce le capacità di questo artista che è poco definire immenso. Chi di voi ha avuto la fortuna di assistere ad alcuni speciali messi in onda sulle pay tv un po’ di tempo fa, si sarà di certo fatto anche un’idea di come Hackett sia davvero un inglese doc per la sua serietà sia di uomo che di artista. Ma veniamo al disco che è di fatto tutto strumentale e lo si capisce già dal pezzo di apertura Ace of Wands che pur richiamando ad atmosfere tipicamente Genesis si sviluppa con la personalità di un Hackettt in piena forma. Infatti la musica gira davvero vorticosamente tra tastiere ed una chitarra che mantiene quel ruolo primario che le spetta visto il calibro dell’artista che stiamo qui trattando. La curiosità ci porta a girovagare nei nostri database e ci accorgiamo che questo disco è partorito nello stesso tempo in cui Peter Gabriel guidava i Genesis in quel The Lamb Lies Down On Broadway dal quale, poi, scaturiranno altre vicende di abbandoni che non stiamo qui a raccontare. Ma se Ace of Wands è il giusto pezzo per l’apertura di un album, quasi una sorta di overture benefica grazie ad un  progressive influenzato da alcuni celticismi e classici arrangiamenti, le successive tre tracce, Hands of the Priestess (Part I), A Tower Struck Down e Hands of the Priestess (Part II) sembrano quasi unirsi per la scorrevolezza delle composizioni ma anche per la sostanzialità d’intenti che le unisce tanto da sembrare una vera e propria piccola suite su tre passaggi. Quando poi arriva il turno di The Hermit i suoni diventano soffici, dolci, e la chitarra acustica di Hackett regna davvero sovrana. Il sostentamento dato poi al pezzo con il flauto fa subito pensare anche alla presenza di Gabriel, e sarebbe davvero bello, ma potrebbe sembrare un disco fatto dai Genesis trasformati che qui, pur con diversi tentativi andati a vuoto, Hackett cerca di tenere lontano. Comunque sia The Hermit nei suoi quasi cinque minuti è un pezzo che mantiene alto il valore della liricità musicale. Star Of Sirius è invece quanto di più Genesis ci possa essere per una produzione che ne vuole stare alla larga; infatti la voce di Collins sembra sovrastare quella di Hackett tanto da far pensare che il disco sia un derivato di Phil, ma la mancanza qui di certe sfumature trovate nelle precedenti tracce fa subito intendere che al di là di tutto questo è davvero un lavoro principalmente strumentale che solo la mente di Hackett poteva generare. Il breve intermezzo acustico di The Lovers rimanda invece a quella fantastica Horizons dello stesso Hackett conosciuta con Foxtrot, e ciò a conferma che la musica degli ormai ex compagni oltre che essere ancora presente è in gran parte generata proprio dalla mente di Steve che ancora una volta, sembra di trovarsi davvero bene anche con gli ex compagni che lo accompagnano in questa produzione. La composizione molto minimalista che chiude Voyage Of The Acolyte è costruita in modo tale da dare risalto alla splendida voce di Sally Oldfield che comunque aggiunge un tocco in più al  progressive che il pezzo emana nel suo proseguo. E non c’è che dire, ma è proprio questo il pezzo che probabilmente ci aspettavamo in chiusura di questo esordio hackettiano che ha tanto da dire, ma ha anche tanto da sviluppare in futuro perché, uno come Hackett, non ha bisogno di essere etichettato per il chitarrista dei Genesis. E’ vero che durante la sua lunga ed immensa carriera ha anche rivisitato e risuonato pezzi della band che lo consacrò, come è vero anche che nei suoi spettacoli non mancano mai brani che rimandano a quella ormai onnipresente ombra artistica, ma Hackett ha quello che si merita, vale a dire essere un musicista con la M maiuscola, essere un’artista a tutto t ondo, completo, un’artista che il progressive non lo ha solo inventato e costruito ma lo lascia come una immensa eredità ai posteri con i suoi dischi che, dopo questo esordio, diventeranno sempre più completi ed importanti. Hackett con Voyage Of The Acolyte si presenta davvero alla grande pur con qualche piccola crepa che per un’artista come lui sono solo passaggi obbligati per diventare sempre più grande. Ed infatti, guardate un po’ come viene considerato oggi Hackett a giusta ragione, vale a dire, uno dei più grandi chitarristi che il rock mondiale abbia mai potuto esprimere. Long Live Rock!

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