Beggars Opera – Waters Of Change

C’è da dire che su questa band ed in particolare su questo album, Waters Of Change, prodotto nel 1971 per l’etichetta Vertigine, le opinioni sono davvero contrastanti. E non c’è di meglio che iniziare una recensione andando a recuperare quel vinile ormai del tutto dimenticato ma che ha comunque qualcosa che ci riporta ai sogni fatti quando eravamo più giovani. Ed inizio proprio da lì, da quel Nimbus che si apre con un bell’arpeggio subito sostenuto da un mellotron adeguato a creare atmosfere ancestrali e da sogno, una vera e propria nenia che induce a riflettere e portare lontano da questo mondo la propria mente. E va bene, ma torniamo alla realtà ed iniziamo con il riportare la puntina del giradischi sul brano di apertura, quel Time Machine che con il modo di presentarsi di Alan Park sembra imitare molto il Keith Emerson dei Nice che furono, e guarda un po’ quanto sound degli Atomic Rooster ci si ritrova dentro questo pezzo. Waters Of Change è un lavoro che viaggia tra psichedelìa intrisa di  quel prog che a tratti ricorda i folletti Jethro, ma il sunto di tutto l’album lo troviamo in quel duettare tra la chitarra di Gardiner e l’organo di Park che sono i veri mattatori in tutto questo lavoro. Il disco è pieno di quel rock progressivo anni settanta che fa piacere riascoltare a distanza di tempo, anche se manca di quelle armonie e passaggi che hanno caratterizzato il prog per come realmente lo si intende. Di sicuro dopo Act One, disco di debutto del 1970, che risulta essere a tratti anche magnifico (accade sempre con le nuove scoperte), Waters Of Change secondo lavoro della band dimostra di non essere all’altezza nonostante alcuni buoni momenti proprio come lo è il pezzo di apertura Time Machine. Resta il fatto che poi quando succedono queste cose c’è sempre un capro espiatorio … o un colpevole, e qui Virginia Scott è il nome che salta fuori perché passa dall’essere compositore a servizio della band, a prendersi tutto quello spazio che ne fa il vero leader sonoro capace di trasformare i pezzi di questo disco con l’uso incontrastato del mellotron a discapito di quelle tastiere che avevano un ruolo primario all’avvio di carriera della band. E così dopo Time Machine,  solenni intonazioni che spingono alla meditazione ci giungono con Lament che in appena due minuti mostra tutta la sua evoluzione, mentre con I’ve No Idea vengono proiettati tutti quei dettagli artistici che scaturiscano da un certo proto progressive inglese come i migliori Cressida hanno insegnato. E con Nimbus, che già dicevamo essere il nostro pezzo preferito, i Beggars Opera vivono probabilmente il loro momento migliore di questo lavoro. Festival, interamente composto da Alan Martin è il pezzo che finalmente aggiunge un po’ di complessità a questo disco, riportandoci a quell’esempio di sound alla Jethro un po’ più sconvolgente, mentre è con Silver Peacock che al di là dell’introduzione, ci riporta ad un manierismo fatto di bravura tastieristica per un concentrato di suoni che viaggia tra Nice e Yes del futuro. Con Impromptu e The Fox è invece tutto un susseguirsi di art rock per un viaggio che termina nel modo meno aspettato. Waters Of Change è insomma un vero e proprio intreccio tra sound dei Cressida, Caravan, con toccate blues alla Moody,  ma è anche una personalizzazione di un sound prog che porterà la band a produrre altri lavori sempre difficili da decifrare. Per fortuna tra un disco e l’altro ci sono anche vere proprie chicche per gli amanti del prog che non possono non prescindere anche dai Beggars Opera. E’ un peccato però che la band sia stata sempre un po’ sottovalutata, sarà perché sono scozzesi? Eppure hanno condiviso il loro tempo con Genesis, Jethro Tull, Gentle Giant, Yes, Pink Floyd, King Crimson. Ma si sa …. non è tutto oro quel che luccica … eppure loro sono stati anche una stella del firmamento prog, sarà che è caduta troppo presto?

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