Not A Good Sign – Icebound

Fare dell’autoproduzione il proprio marchio di fabbrica non è da tutti come è da pochi artisti decidere di distribuire le proprie produzioni attraverso il digitale come in passato insegnò anche un certo David Bowie, di sicuro precursore attento ed artista illuminato come pochi (potremmo anche dire che sia stato l’unico in tal senso). Ma i Not A Good Sign stavolta hanno davvero esagerato producendo un cd in edizione limitata di sole cinquecento copie, numerate ed autografate il tutto prodotto proprio dai componenti la band che ha anche diversificato a mano ogni copia del cd. Ma a parte queste note di colore i Not Good A Sign ritornano, in questo 2018, sul mercato con un prodotto che ha qualcosa in più rispetto ai precedenti che abbiamo, tra l’altro, avuto il piacere di trattare su diversi siti specializzati. Icebound terzo lavoro con cui i Not A Good Sign si presentano al pubblico, mostra una band che cambia l’approccio anche musicale realizzando un prodotto che rispetto ai precedenti è ben più complesso: infatti non ha quel tipico approccio progressive di concept pur trattando scenari ben legati tra loro. Questo lo si capisce bene dall’evolversi delle partiture non certo semplici da decifrare ma che hanno nel coinvolgimento anche di Gian Marco Trevisan in studio, finora coinvolto solo in fase live, che oltre alla chitarra contribuisce in studio anche nelle parti vocali. E poi il solito Paolo “Ske” Botta che firma tutte le composizioni con l’esclusione della sola Truth. Particolare attenzione poi la band ha prestato alla sezione ritmica con una batteria che sembra tendere a diventare quasi elettronica con un violino, quello di Eloisa Manera, che si inserisce quasi di soppiatto nelle partiture. Poi, la presenza di un certo David Jackson dà quel tocco in più alla musica che in Icebound è davvero il non plus ultra. Lavoro certamente complesso ed elaborato che emana tutte le influenze di cui i Not A Good Sign ne fanno tesoro, dal King Crimson ai Marillion ai VDGG, agli stessi Goblin ed al grande Zuffanti che dimostra sempre di lasciare la propria impronta in tutto il rock tricolore. Ma se qualcuno pensava che l’uscita dalla band di Francesco Zago avrebbe significato per i Not A Good Sign un salto nel vuoto beh, allora, molti fanno ancora in tempo a ricredersi perché con l’ingresso di Gian Marco Trevisan neanche il carismatico Paolo Ske Botta è riuscito ad avere il tempo di soffrire grazie a questo nuovo prodotto che, a giudizio nostro, mantiene alto il livello del progressive nostrano. Un disco tutto da ascoltare Icebound che partendo con Second Thought di caratura tutta strumentale, passa a Frozen Words dove oltre al prog tipico fa brillare in modo particolare la chitarra di Trevisan. Hidden Smile è un bel susseguirsi di tastierismo perfetto anche se è con Truth che Paolo Botta esprime davvero tutta la sua potenza ed intensità espressiva. Un bell’album davvero Icebound, ma di certo completamente diverso da Not A Good Sign From A Distance, un album più articolato e ben concepito. D’altronde la concezione di un progressive “oltre” è il marchio dei Not A Good Sign.

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