Patti Smith – Gung Ho

Gung Ho è l’ottavo album in studio di Patti Smith pubblicato per la Arista Records nel marzo del 2000 ed a conferma del lavoro svolto dall’artista, anche se tra alti e bassi, da questo lavoro il brano New Party venne usato come canzone ufficiale per la campagna dello stesso anno di Ralph Nader, candidato alle presidenziali americane ed attivista contro il proliferare del nucleare e quindi profondo ambientalista. Tra l’altro, con Gung Ho la Smith venne nominata per il Grammy Award quale Best Female Rock Vocal Performance nel 2001 e ciò a dispetto di quanti, all’epoca, l’avevano già data per finita. E se non bastasse c’è da annoverare che l’album venne inserito nella Top 50 della rivista Rolling Stone proprio per il 2000; insomma, non c’è che dire, visto che in questo modo la stessa Smith si tolse qualche sassolino dalle scarpe. Guardando la copertina dell’album, quello che appare subito evidente è la mancanza di una sua foto, sostituita da quella del padre Grant Smith. Il titolo dell’album si riferisce al grido di Ho Chi Min durante la guerra in Vietnam, un grido che la Smith volle fare suo, impegnata come lo era allora e come lo è sempre stata nel campo della non violenza e della pace, ed in particolare contro l’establishment statunitense. Da un punto di vista strettamente musicale c’è da dire che i suoni non sono male vista la loro proiezione verso un rock ben composto, ma i testi sono purtroppo intrisi di quello spiritualismo tutto smithiano che lasciano quasi presagire la mancanza di nuove ispirazioni, come se il suo convincimento cattolico l’abbia poi, di fatto, allontanata da quel misticismo al quale ci aveva abituati con le precedenti produzioni. E mentre le idee di Patti Smith registrano un certo calo intellettualistico, la band segue quel rock che resta comunque un piacevole ascolto, ma che di fatto registra in questi nuovi pezzi una impercettibile variazione nello stile grazie agli strumenti che appaiono davvero prevedibili nei suoni. Non vogliamo qui sindacare sulle capacità strumentali della band, ma il fatto stesso che il nostro orecchio colga queste sfumature, allora vuol proprio dire che Gung Ho è un album strano visto poi il premio della rivista Rolling Stone. In quest’album ci sono riferimenti ben più vicini al mondo del rock di quanto se ne possano poi realmente vedere; ad esempio, il pezzo Upright Come è l’orazione che Jim Morrison scrisse rivolgendosi alla comune gente; Glitter In Their Eyes corrisponde invece a quell’amaro disprezzo della poetessa contro il dilagare del materialismo anche se poi, alla fin fine, è lei stessa ad essere proprio figlia di quello stesso materialismo fattosi capitalismo visto che il padre era un industriale, e ciò stona ancora di più se si pensa al personaggio che è poi ritratto sulla copertina di quest’album. Con New Party invece, la Smith rischia un altro tentativo di scatenare una rivolta mondiale contro le guerre, utilizzando l’amore, ma purtroppo il pezzo scema in una progressione di noioso folk (forse per non dimenticare il suo caro amico Dylan). Sappiamo bene che i pareri sono spesso contrastanti, ma comunque sia Gung Ho avrebbe davvero potuto essere l’album più acclamato della poetessa perché, pur tra alti e bassi, è comunque carico di ballate grintose che riportano a quelle radici punk che la Smith ha sempre avuto nel proprio dna. Di certo resta il fatto che, chiunque ami la Smith sia come personaggio che come poetessa, troverà in Gung Homolta di quella roba per divertirsi un po’. Comunque sia la musica rock resta sempre musica rock e questa non è una constatazione né una mera affermazione. E’ la realtà con la quale anche la Smith ha dovuto fare i conti, e la sua vita è piena di tante vicissitudini che l’hanno portata, spesso, a fare i conti con se stessa….ma anche con gli altri. Il suo pubblico in particolare.

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