Patti Smith Group – Wave

Quando Patti Smith finì le registrazioni di Wave, nessuno si aspettava che da quel momento, e per ben nove anni, la sacerdotessa del rock si sarebbe allontanata dalle produzioni musicali. Ma più il tempo passava, più aumentavano le file di coloro che credevano ormai ad una sua definitiva scomparsa dalle scene che per fortuna del rock, avrebbero visto il suo ritorno nel 1988 con l’uscita di Dream Of Life. Questa situazione porterebbe a pensare ad una sorta di crisi creativa che avrebbe colpito la Smith, una condizione questa che fa riflettere subito sulla  foto che la ritrae nella copertina di Wave dove, i due piccioni che sono posati sulle sue mani sembrano assumere una posizione di partenza verso una mèta sconosciuta. Ma sapete com’è, queste sono riflessioni che colpiscono la mente di un semplice appassionato che si accinge a descrivere questo ennesimo lavoro di Patti Smith in piena notte. E comunque sia, mentre il computer ormi ci distrugge, nelle cuffie scorre la trionfante apertura del disco affidata a Frederick, il marito della poetessa che sarebbe morto nel 1994, ex chitarrista degli MC5:  Frederick è un pezzo ritmicamente incalzante dove trova il giusto spazio l’inserimento di una tastiera capace di donare enfasi ad un brano che, al di là del successo poi ottenuto, si vede che veste proprio i panni della Smith. Il brano successivo Dancing Barefoot ci fa subito ritornare sulla terra perché in un pezzo in cui si parla d’amore per il prossimo e per tutto quello che Iddio ha creato, l’amore diventa sublimazione, irrazionalità, esplosione di gioia anche per quell’amore tra uomo e donna che se pur lontano per il genere umano trova nella certezza della presenza  di Dio la definitiva consacrazione. E non è un caso che nelle note di copertina di Wave compaia anche la foto di Papa Luciani e la dicitura “La musica è riconciliazione con Dio”. Dal primo all’ultimo brano di questo disco, Wave diventa davvero poesia, e la poesia qui si fonde in maniera fantastica con un rock pensato, una musica che viene dall’anima … quasi a confermare che il rock è anche Arte quando a farla è gente come la Smith e la sua band. Ma si sa che la sacerdotessa va oltre la musica e le parole perché conta la gente che la circonda o l’ha circondata, gente come Burroghs, Ginsberg, o che l’hanno affascinata come le letture di un certo William Blake. Con Hymn e Revenge la Smith sembra di cadere un po’ nell’ovvietà di un stile musicale che a volte è privo di quella potenza e di quella passionalità che la Smith ha sempre messo nei suoi lavori. A sistemare tutto arriva Citizen Ship che è un po più calda supportata com’è da un organo che è davvero tosto (come si dice dalle nostre parti). A spiazzare poi chi ascolta, la Smith ci pensa con Seven Ways Of Going che è una vera e propria preghiera dove il jazz spunta all’improvviso in un’album di rock e poesia, un vero coacervo di note sovrapposte per una musicalità diversa ed unica. E  quando nel testo leggiamo “I’ve got seven ways of going seven wheres to be, seven sweet disguises, seven ways of serving Thee, Lord, I do extol Thee, for Thou has lifted me” (Ho sette modi di andare, sette modi di essere, sette travestimenti dolci, sette modi di servire Te, Signore, io Ti esalto, perché tu mi ha sollevato.) sembra di sentire una delle più belle preghiere mai scritte per il Creatore, a conferma che la religiosità della Smith non ha limiti. Quando è il momento di Broken Flag la sontuosità di un inno e la voce di Patti ci portano indietro nel tempo a ripercorrere la storia di Barbara Frietchie che nel lontano 1862, nella città di Maryland, tra l’altro città natale del marito della Smith, fece sventolare la bandiera dell’Unione con l’asta spezzata in faccia al nemico. Un vero e proprio inno alla libertà sostenuto da una splendida voce. L’album si chiude con l’inquietante e stupenda Wave, un brano in cui la poesia della parola viene recitata da Patti sulle note di un pianoforte davvero inquietante che fa presagire a qualcosa di oscuro, quasi un presentimento. Un finale da dieci e lode per una “messa” in onore di qualcuno, o qualcosa. Il brano è dedicato a Papa Giovanni Paolo I, morto prematuramente dopo un pontificato durato appena trentatré giorni, come gli anni che aveva Cristo quando fu crocefisso. E se la religiosità della Smith la conoscono in tanti, in tanti sanno che Wave è dedicato proprio al Papa Giovanni Paolo I, mentre sono pochi ad essere a conoscenza  che Patti era in Piazza San Pietro, in incognito, quando Papa Luciani stava per morire. Era lì, come tanti a pregare. E forse la preghiera l’ha aiutata a concepire un album che seppur criticato da molti è una vera e propria lode alla vita.

 

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