Osanna – Palepoli

Napoli è una città affascinante, contraddittoria ed allo stesso tempo complicata. Napoli è quanto di meglio l’italianità può offrire al mondo intero e da lì, in quello splendore dominato da un dormiente vulcano, quello che giunge a noi sono le note di un parlato unico, di una musica contaminata dal popolare, dalle storie della gente che tira a campà in mille modi. Napoli non è più la sola tazzulella e cafè, Napoli e mille culuri, mille paure, Napoli non è solo quella milionaria immaginata da De Filippo la famiglia del teatro nostrano ormai estinta da poco, Napoli è amore, è colore, è vita. Ed a questi ultimi tre concetti gli Osanna, uno dei gruppi che ha lasciato un’impronta duratura nel pop tricolore, sia con la musica che con la partecipazione a quei festival che hanno fatto, per un certo periodo, di questa terra la California d’Italia, devono molto in termini “creativi”. Palepoli è uno dei classici del progressive italiano, ma anche uno dei dischi che hanno subito l’influenza di una mediterraneità unica del quale, ascoltando il disco, se ne può assaporare il sapore ed il profumo. Pubblicato nel 1973, l’album fu l’apertura all’organizzazione di un festival voluto proprio dagli Osanna, il Napoli Be-In, che tra gli altri ospitava un certo Claudio Rocchi al quale oggi, alcuni amici hanno dedicato delle iniziative, ed un certo Peter Hammill universalmente riconosciuto come una delle menti più fulgide di quel international progrock al quale siamo molto affezionati. Ma c’erano anche, in quel festival gruppi che hanno segnato il passo nella musica rock italiana come i Metamorfosi, i Garybaldi tant’è che un certo Dario Salvatori scrisse all’epoca su Ciao 2001 che il Napoli Be-In fu il festival di Wight a casa nostra. Ma storia a parte, quando uscì Palepoli, la Napoli certamente non milionaria si era già conquistata uno spazio nella musica insieme ad altre band allora emergenti quali Balletto Di Bronzo, Alan e Jenny Sorrenti, Tony Esposito e così via. Sin dal titolo dell’album, Palepoli è un vero e proprio omaggio a Napoli, alla mitologia della città ed al suo passato, e gli Osanna, che in quel periodo sono al massimo del loro splendore creativo non possono limitarsi a contaminare, con i suoni del progressive, le partiture popolari dalle quali sono partiti; infatti, nelle note di copertina di Palepoli troviamo scritto “musica nata nell’esasperazione, musica di contraddizioni” proprio come Napoli. E gli Osanna non si fermano qui perché insieme al disco partoriscono uno spettacolo teatrale che si ispira anche a band d’oltre Manica come i Genesis, un teatro rock che il nostro amico Donato Zoppo ben descrive nel suo libro La Filosofia Dei Genesis, Voci e maschere del teatro rock (Mimesis Edizioni, 2015). Palepoli contiene due lunghe tracce ed una molto più breve che funge da unione tra queste. Oro Caldo trasporta in un mercato dei tempi andati fondendo le voci con un ritmo dal sapore orientaleggiante dove, batteria e flauto, ne scandiscono il tempo prima del bell’innesto di chitarra elettrica che apre le porte ad una tarantella ed ad un testo che invita a fuggire. E’ qui che le atmosfere, alla Anderson del flauto di Elio D’Anna ed alla Hendrix della chitarra di Danilo Rustici, trovano il giusto spazio per plasmare il progressive tricolore e napoletano dell’etichetta Osanna. L’insieme dei suoni che la band propone qui spaziano dal jazz rock a quello hard senza però tralasciare gli innesti acustici di cui sono maestri, e questo loro modo di comporre diventa unico e davvero personale. Il disco continua poi con una perfetta fusione tra Oro Caldo e Stanza Città nella quale si rintracciano quei suoni tipicamente industrial che arrivano fino alla fine di questa prima facciata che per certi aspetti, fa da contr’altare alle composizioni crimsoniane dell’uomo schizoide che ben conosciamo. La seconda facciata del disco è interamente occupata da Animale Senza Respiro che inizia con un vortice di spiritualità al quale si unisce poi quell’influenza jazz che ricorda molto i Napoli Centrale, con un Danilo Rustici che alla chitarra è davvero in piena forma. Ma qui lo sono tutti in piena forma, sia concettualmente che praticamente, e lo dimostra il prosequio del brano capace di inglobare quella realtà del vivere quotidiano di una Palepoli sempre in piena contraddizione. Come scrisse anche Caffarelli su Ciao 2001 “Il gruppo ha saputo conciliare la musica con l’immagine, senza però condizionare l’una forma d’arte in funzione dell’altra: questo non esclude comunque che si possa avere la comprensione autentica dell’opera solo dal vivo, a teatro. L’uso del mellotron e del sintetizzatore, le chitarre e specialmente quella elettrica di Danilo Rustici che, pur essendo un discepolo di John McLaughlin, è uno dei più originali strumentisti italiani, i fiati insuperabili di Elio distribuiti con precisione e parsimonia, i testi intelligenti e provocanti, beni inseriti negli spazi musicali senza rappresentare un momento staccato nello svolgimento della musica: tutti questi elementi fanno di “Palepoli” un’opera interessante ed importante”. Come non essere d’accordo ancora oggi su queste affermazioni? Palepoli è e resterà uno degli album più belli del nostro progressive, ma è e sarà sempre uno dei lavori più interessanti dal visto composito e musicale. Non averlo è come offrirsi ad un sacrificio pagano, non fate che ciò avvenga.

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