Fugazi – Red Medicine

La musica di questo lavoro dei Fugazi non ha bisogno di presentazione, infatti ascoltando il disco lo si capisce subito che questo è il lavoro che impone alla band quella svolta definitiva che già era nell’aria. Un’ascolto attento e viscerale fa capisce da subito quanto la band si stia allontanando da quell’hardcore e da quel suono che l’aveva fino ad allora contraddistinta. Possiamo tranquillamente affermare che per Red Medicine esiste una definizione sicura e certa: questo è infatti uno di quei pochi dischi al quale è impossibile affibbiare un’etichetta. Di sicuro è un disco che va conservato con cura per la sua grandezza e leggendarietà. Qui non sono i Fugazi ad essere al centro dell’attenzione, ascoltandolo con cura ci si rende subito conto che a farla da padrone è la musica, piena di quel noise che prende il meglio dall’art rock e dall’hard core. Duro quanto basta e maestoso nella sua composizione, in Red Medicine il suono si avvia verso quella fase sperimentale che rende la band di Washington unica per le enormi capacità di adattarsi ai vari generi. Sin dall’inizio si capisce che i Fugazi non sono più i ragazzi di una volta, quelli che per antonomasia erano esclusi dal complesso giro hardcore; qui il rock si fa davvero alternativo diventando una lezione per tutte le band passate e future. Basti pensare ad esempio al clarinetto inserito in Version o alle voci di Combination Rock come cambiano il volto di questa band destinata a marchiare il proprio nome col fuoco dei suoni. Red Medicine dimostra cosa possono davvero fare i Fugazi, come ad esempio rimuovere completamente quanto fatto con il precedente In On The Kill Taker, per proiettarsi verso la definizione di un nuovo sound che comprova anche il diverso metodo di approccio agli strumenti, un valore in più che mancava ancora. In questa produzione la varietà degli stili musicali proposti fa dimenticare i Fugazi dei primi approcci al suono; i Fugazi qui sfruttano appieno quelli che sono i loro punti di forza, e li giocano a proprio uso e consumo dimostrando di sapere ciò che vogliono. Qui ad esempio Guy Picciotto e Ian MacKaye avvalorano la nostra tesi che nonostante il suono delle chitarre sia più attenuato,  il risultato va ben oltre ogni aspettativa;  infatti la rumorosità del disco è ben limitata e basta per sostenere il bel basso di Joe Lally che offre a tutti i brani quel ritmo che impedisce di spostarsi dalle scale cromatiche create grazie anche al supporto di una bella sezione ritmica che Brendan Canty suona con precisione, pur restando ancorato al suo ruolo di supporto. Certo, lo stile Fugazi resta anche qui ma la nuova combinazione porta l’hardcore di questa band a giocare con il jazz, la psichedelica e con i testi come al solito “politici” ma anche enigmatici. Il pezzo di apertura Do You Like Me è quello che propone di fatto il nuovo stile Fugazi con accordi disarmonici ed aspri, puliti però quel tanto che basta a reggere il solito testo che sta tra il politico e la sublimazione dell’amore, mentre il resto delle tracce prende altre direzioni combinando vecchi suoni,  che abbiam trovato nei precedenti album, con l’aria ambigua di questo Red Medicine. Insomma, per dirla brevemente, questo album dei Fugazi completa l’avvio della band verso l’hardcore ed il post-hardcore portandoli in definitiva ad abbandonare il punk rock che li aveva visti nascere. Non fa nulla poi se siamo tra i pochi a parlarne in un certo senso bene di questo lavoro. Tanti sono stati quelli che ne hanno parlato ma,le ma si sa che nella musica non è un fatto di vedute ma di ascolto e stati d’animo. E’ anche probabile che i tredici brani di questo Red Machine siano un po’ troppi, ma non ditemi che sono troppi 43:48 di puro cambiamento.

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