Gentle Knife – Clock Unwound

Ci sono delle band, comunque di spessore, che pur provenienti da paesi dove il progressive non ha radici fortificate, hanno dalla loro una considerevole esperienza ed un sound che dire pregevole è davvero limitativo. Poi, in questo 2017 che volge ormai al termine, pur non avendo distolto la nostra attenzione dai canoni oramai consolidati delle “terre del prog-rock”, abbiamo avuto una certa attenzione a tutto quell’ambiente dell’Est e del Nord Est che comunque riesce a fare buona impressione quando si parla di musica, sia essa inserita nel post rock, nell’avantgarde e nello stesso progressive. E veniamo ora a questa proposta che viene da lontano e che ci toglie qualche ora di sonno perché siamo indecisi se inserirla o no in quelli che sono i lavori che, secondo noi, in questo 2017 hanno brillato. Quando debuttarono nel 2015 con il loro primo lavoro omonimo, i Gentle Knife, formazione di Oslo, fecero già una buona impressione anche se allora la voce della cantante era quella di Melina Oz che rispetto a Veronika Hørven Jensen, colei che l’avrebbe sostituita successivamente, possedeva una timbrica meno caratteristica ma di certo considerevole. Ma questa band, che sembra quasi un’orchestra, dopo il debutto con  Gentle Knife non si fa certamente sottovalutare e così, quel sound che è generato tra suoni anni settanta ed evoluzioni sonore odierne, segnano il passo anzi, fanno segnare un considerevole balzo ai Gentle Knife che rafforzando le proprie linee con una formazione ad undici, diventa quasi un progressive orchestra. Giunge così nel 2017 questa loro seconda produzione, Clock Unwound, incentrata tutta sullo scorrere del tempo capace di portarsi via la vita, spesso velata dal rimpianto, dagli insuccessi, da sogni infranti mai realizzatisi, temi questi tutti accompagnati da una musica in grado di richiamare le atmosfere dei tempi andati quando erano nomi come i King Crimson ad indicare la strada del futuro rock. Di certo quello che questa band norvegese propone è davvero poesia che si fa musica, una musica capace di abbracciare diversi generi tra fusion, jazz, progrock e vere e proprie jam session che danno vitalità e fervore ad un lavoro che è destinato (speriamo) a favorirne degli altri. E’ già con il brano di apertura Prelude: Incipit che si capisce con che cosa abbiamo a che fare; un brano strumentale dove pianoforte ed ottone portano non solo un prog leggero da assaporare,  ma fanno respirare un breve ma intenso ambient per un’atmosfera che immediatamente incuriosisce l’ascoltatore ( a noi è successo così). E’ con la successiva Clock Unwound che si precipita in atmosfere tipicamente canterburyane dove il prog, contaminato dal jazz, è lo stampo di quello che fu il sound che fece scuola in Gran Bretagna e nel mondo, un sound al quale tanto devono le band venute dopo, comprese quelle attuali, dalle quali non vanno esclusi questi Gentle Knife. Con Fade Away ci si trova di fronte ad una ballata che si alterna tra grintose sonorità e richiami a passaggi di marchio tipicamente crimsoniano. Smother è invece il pezzo che fornisce il vero rock progressivo prodotto  di questa band, scevro da influenze crimsoniane, nonostante flauto, sassofono, organo ed hammond creino una bella alternanza tra progressive e jazz. E non manca la tromba che enfatizza il tutto. Resignation, il pezzo che chiude l’intero lavoro, pur aprendosi con un recitativo che allude all’inutilità di ogni tipo di guerra, prosegue in una cavalcata che è un susseguirsi di note che si racchiudono in piccole  suite melodiche che l’orecchio non rifiuterà di certo. Questo Clock Unwound non è un vero e proprio concept album, anzi a momenti sembra proprio non esserlo,  ma la tematica che affronta lo fa assurgere a tale grazie anche ad un sound che una corposa band come Gentle Knife è in grado di produrre. I Gentle Knife  con questa seconda uscita dimostrano di avere non solo talento ma anche capacità compositive indiscutibili. Continuando su questa strada questi norvegesi Gentle Knife potranno ben presto scrivere pagine storiche di progressive rock ma anche di rappresentare degnamente quel progressive norvegese che insieme a quello di immediato confine continua a crescere. Attendiamoci l’invasione allora …. e questi non sono barbari ma progressive man.

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