Lou Reed & John Cale – Songs For Drella

Continuiamo il nostro viaggio nella musica e nelle molteplici personalità di Lou Reed e lasciamoci, per ora – perché vi ritorneremo in seguito – dietro le spalle lavori come Mistral (1986), Wild Child (1987) e New York (1989) che, tranne l’ultimo, fanno capire quanto la capacità compositiva del migliore artista che conosciamo sia andata oscurandosi. Proiettiamoci invece, ora, verso quello che è considerato un vero e proprio “poema” che vuole ricordare la figura del grande Andy Warhol che tanto ha rappresentato sia per l’artista Reed che per gli stessi Velvet Underground, sia per il futuro dell’arte in genere. La storia racconta che il 22 febbraio del 1987, Andy Warhol a seguito di un intervento da considerarsi di routine, muore al New York Hospital. Quella morte sciocca a tal punto Reed che con l’artista aveva condiviso amicizia e la consapevolezza di essere ormai qualcuno anche grazie alle esperienze maturate nella Factory. Con la scomparsa di Warhol, a Reed viene a mancare il ruolo acquisito di figliol prodigo, manca quella critica di Andy che lo aveva condotto poi ad una maturazione fuori dal comune facendolo diventare quell’artista che orami era diventato e, nonostante gli ultimi lavori in cui non aveva poi brillato gran che, Reed era consapevole dell’importanza che Andy aveva assunto nella sua crescita umana ed artistica. Fu però l’amico-nemico John Cale a riavvicinare Lou ad uno dei progetti che lo avrebbe entusiasmato molto e che avrebbe rigenerato quella voglia compositiva che sembrava persa con i lavori pubblicati dall’86 all’89. Reed si rendeva ben conto di quanto Warhol gli mancasse, e quando al funerale di quest’ultimo si ritrovò con Cale e Billy Name, fu lì che in un certo senso scoppiò quella scintilla che avrebbe condotto, in futuro, Cale a proporre a Reed un progetto in memoria dell’uomo che aveva ideato i Velvet Undeground e la loro epopea. Siamo nel 1988, Cale aveva finito una prima stesura dell’opera in memoria di Warhol quando chiese a Reed di ascoltare quel pezzo chiedendogli cosa effettivamente ne pensasse. Entrambi, i due ex Velvet Underground, riscoprirono quanto ancora fossero legati da quella alchimia compositiva che aveva influenzato tanti lavori rock venuti dopo di loro, e furono loro stessi a spingersi a capofitto in quella che sarebbe poi diventata la musica giusta per ricordare l’amico-nemico Andy. Fu così che affittarono uno studio chiudendosi letteralmente dentro a chiave anche se non mancarono, come sempre, gli attriti tra i due. Se Cale era per Reed un artista molto stimolante, al contrario Reed era invece per Cale qualcosa in più ed entrambi sapevano bene come sarebbe andata a finire. Songs For Drella è un lavoro  concettualmente unico, un album concepito nello stesso modo, forse, con cui l’avrebbe concepito Warhol, un lavoro di teatro e sonorità multiple, di parole crude ed ingombranti, melodico, violento e popolare allo stesso tempo. Dentro c’è di tutto: cronaca giornalistica pura, tra racconto umano ed artistico, tra omaggio doloroso e consapevolezza di essere stato qualcuno o qualcosa che ha cambiato il modo di fare arte, di concepirla. Songs For Drella è art-rock arrivato dopo vent’anni, si perché erano da vent’anni che i due musicisti non si ritrovavano a lavorare insieme, e non sono pochi. Ma nulla può cambiare con due artisti così, l’arte qui è sopra ogni cosa, sembra di ritrovarsi di fronte ad un dipinto dove un brano come Open House è una vera e propria pennellata che racconta i primi anni della permanenza dell’artista a New York. Ecco qui un’altra cosa che accomuna Reed  a Warhol, la New York dai mille volti …. dai mille colori …. dalle mille luci che si riflettono sulla lucentezza di un quadro o di uno dei tanti volti famosi che Andy ha ritratto. I brani sono più o meno cronologici, contrappongono ricordi, idee sull’arte e riflessioni degli ultimi giorni attraverso il racconto di un estraneo ed estraniato dal mondo che però è riuscito a suscitare idee nuove ma anche nuovi personaggi che hanno “rotto” le consuetudini e gli schemi. E di contrappunto a tutto questo c’è la musica, i brani sull’estetica di Warhol che sono supportati da riff e da strutture minimaliste come lo fu per i Velvet Underground. E non poteva essere diversamente perché se Cale e Reed sono stati l’anima dei Velvet ora,  quelle anime sono qui non per richiamare i fantasmi di un passato che tale è, ma perché qui c’è da “scrivere” il presente, l’elogio ad Andy. E la musica scorre, si incunea nel privato con pezzi come Slip Away, Nobody But You, Hello It’s Me, che restano sempre pezzi da tre accordi come Lou Reed ha sempre amato fare. Poi la musica e le parole si fanno storia con I Believe dove si racconta di quando Valerie Solanas sparò ad Andy, un brano composto da Reed quasi come un rock-gospel in cui canta “Qualcosa non va se è viva in questo momento” (il viva è riferito ad Andy) e subito dopo arriva il suono di una chitarra che sembra quasi scarabocchiare su un foglio il ritratto della “checca” più amata ed odiata allo stesso tempo. Ma ci sono anche brevi sguardi all’interno della Factory ed alle tensioni vissute al suo interno, in particolare a quelle nate tra Reed e Warhol che sono ben delineate e descritte in It Was Not Me impiantata sui primi accordi di apertura con il piano. E la figura di Wharol continua ad essere presentata come simpatica, timida, ma anche incompresa come sono incompresi i personaggi che lo stesso Reed descriveva in Walk On The Wild Side. L’unica cosa  certa è che la commozione arriva per questo eccelso lavoro con l’ultimo brano che chiude l’album, quell’Hello, It’s Me il cui testo è trattato in modo del tutto impersonale, e così come questo brano appare impalpabile, non è un caso se il messaggio che giunge è quello di un Wharol la cui figura resta inafferrabile. Lo è stato nella vita, lo è anche nella morte, lo sarà per i posteri. L’addio di Reed e Cale a Wharol con questo pezzo è davvero un saluto che commuove e fa capire quanto il duro e rude Lou Reed è invaso da teneri sentimentalismi ….. Personalmente lo ricordo ancora in una sua esibizione live di Caroline Says, con le lacrime agli occhi. E Cale? Lui è la struttura portante di tutto questo lavoro, come lo è stato nei Velvet Underground, praticamente il braccio unito alla mente (Cale) ed ai sentimenti rock più puri che mai siano stati concepiti (Reed). Grandi, come è grande questo immenso lavoro. Non me ne vogliate, ma se ascoltate questo disco dieci volte, la valutazione che ne darete è sempre la stessa: 10.

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