Lou Reed – The Bells

Dopo l’album di blues urbano (così lo definì lo stesso Reed) Take No Prisoners, Lou Reed durante una delle rare interviste rilasciate annunciò di avere delle grandi aspettative quali quella di “diventare il più grande scrittore mai vissuto sulla terra”. Per 1978 si avvicinava la fine e Reed aveva già diverso materiale in elaborazione frutto della collaborazione con Nils Lofgren, che aveva avuto esperienze con Neil Young in Tonight’s The Night, che con Don Cherry il quale vantava dalla sua esperienze con Ornette Coleman e John Coltrane. Ma anche i vari membri della band di Lou Reed non erano stati da meno lavorando su diverse idee dello stesso artista. Le registrazioni di The Bells furono fatte a Wilster, in Germania, ai Delta Studios, e fu lì che per la prima volta Reed utilizzò, per le fasi di registrazione, il processo binaurale che consiste nel posizionare strategicamente gli strumenti in diverse posizioni all’interno del campo sonoro; infatti, in questa tecnologia d’incisione alcuni strumenti sono adeguatamente pannerizzati centralmente, altri sui lati, alcuni vicino, altri più distanti. E così, anche se il suono sembra provenire da un punto specifico unico, in realtà la sorgente è una sola. Questo modo di concepire The Bells fece si che il prodotto, sonoricamente parlando, fosse unico come singolare lo fu Metal Machine Music che potremmo considerare come l’altro esperimento sonoro di stampo louridiano. Ma quello che fa di questo The Bells, ancora una volta un unicum per la produzione di Lou Reed, è la presenza di Don Cherry che pur introducendo nelle tracce riff di rhithm’n’blues fa pendere la bilancia dei brani realizzati  verso quel jazz d’avanguardia che rendono il prodotto una vera e propria composizione di puro lirismo. Qui tutto è spontaneo, nonostante l’ispirazione proviene dal poema di Edgar Allan Poe e dalla poesia tant’è che The Bells risulta essere il risultano delle note del parlato riversate nella musica, una vera e propria sperimentazione sonora della parola che qui, in quest’album, diventa verbo, quel verbo tramandato da Poe nei suoi poemi “maledetti”. Quando l’album venne pubblicato, le critiche non furono il massimo che un artista o un produttore può attendersi, ma qualcuno si spinse a dire che The Bells di Lou Reed fu “estremamente convincente e pieno di autorità, incisivamente universale”, insomma un vero e proprio schiaffo a quella critica giornalistica che non aveva mai risparmiato in fatto di negatività, ed in quel periodo, il Lou Reed artista Questa nuova creatura di Lou Reed tratta l’amore e la paura secondo quelli che sono stati i dettami poetici e lirici di Poe, è quasi un avvicinarsi alla morte spirituale e fisica a testimonianza di un ritorno al dolore intenso ed estremo. Reed qui fa vedere, sia attraverso i testi, sia attraverso la musica quanto gli stia a cuore la sperimentazione, diversa certamente da Metal Machine Music che se lì si presentava come ricerca del suono, qui invece veste il rock’n’roll di jazz, una sonorità che in certi momenti fa tornare alla mente anche il grande Miles Davis, un vortice di suoni che proietta Reed verso nuovi orizzonti e fa si che i tre accordi necessari a realizzare una canzone diventino lo spartito di un’intera jam session jazz. Il disco sorprendente in tutti i sensi, rumoroso quanto basta per non essere metallico, con chitarre che passano in un secondo piano rispetto al tastierismo di Michael Fonfara, è il risultato di una ricerca sulle note, suoni che pur apparendo disordinati, nascono così come nasce il jazz. Ed infatti The Bells nasce da dentro l’anima di un artista che sente come non mai di appartenere ad un mondo che non è qui, quello stesso mondo che Edgar Allan Poe ha saputo descrivere come nessun altro, il mondo dei poeti maledetti per sempre. Lo potremmo definire come un album di musica da salotto, di jazz rock, di funky? E che dire poi del cantato? Flussi inesorabili di parole, presa di coscienza, lirismo e così via; ed è proprio giusta l’affermazione che Lester Bangs riportò su Rolling Stone quando l’album uscì: “Con The Bells, più che con Street Hassle, forse anche più che nei suoi lavori con i Velvet Underground, Lou Reed raggiunge l’obiettivo dichiarato di diventare un grande scrittore, nel senso letterale del termine”. E come si fa a non essere in sintonia con questa affermazione? Lou Reed prima che musicista è stato un poeta ed uno scrittore, le sue non sono canzoni, ma poesia, brani ….. ispirati dal male che una città come New York, pur amandola, può darti. E se Edgar Allan Poe è uno dei maestri dell’oscurità, Ascoltare City Light di The Bells per credere e se non è sufficiente a capire questo disco di Lou Reed, andatevi a rileggere The Bells di Edgar Allan Poe.

 

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