E.L.&.P. – Works Volume 2

Works Volume 2 viene pubblicato a ben tre anni di distanza da Welcome Back My Friends uscito nel 1974 e del quale ce ne occuperemo in altro momento. Il disco contiene una selezione di materiali rari che gli E.L.P. avevano prodotto sia come solisti che in gruppo. Rispetto al Volume 1, in questo secondo passaggio sembra esserci più coerenza nella predisposizione dei brani, e ciò si nota quando si ascolta Barrelhouse Shake-Down o ad esempio Honky Tonk Train Blues pezzo questo per il quale Emerson è conosciuto in Italia per i meno addentro a questo genere di musica. Ma anche con Bullfrog di Carl Palmer la differenza viene rimarcata grazie alla stessa drammaticità del pezzo infarcito di ottimo jazz. Con Works Volume 2 le esecuzioni individuali dei tre sono chiare e precise, e la voce di Greg Lake è ben equilibrata in rapporto anche all’uso del basso che viene fatto in tutto il disco. Questo lavoro è tra l’altro diverso rispetto a Brain Salad Surgey perché riteniamo che qui, in Works Volume 2, non viene dilata l’evoluzione del rock proposto, che è indiscutibilmente progressive, ma nonostante ciò l’album si presenta con qualche lacuna sì ma in grado di offrire buone sensazioni a chi lo ascolta. Comunque sia, se la critica finora ha solo fatto sfacelo di questo lavoro, un riascolto a distanza di tempo giova per riconsiderare l’album come un necessario passaggio di questa band che al rock in genere ha offerto tanto, sia in termini di qualità che in termini di strumentalità. Bisogna poi tener presente che Works Volume 2 viene pubblicato in un periodo in cui il progressive tutto era avviato verso una fase calante grazie (noi preferiamo dire per colpa) dell’affermarsi del punk rock, soprattutto in Inghilterra. Il disco è essenzialmente una raccolta di materiali registrati precedentemente e messi da parte, quindi mai pubblicati, composti a fasi alterne e, nonostante ciò, pur la band avendo utilizzato proprio quei pezzi un tempo accantonati, non rendono con la pubblicazione di Works Volume 2 quel disastro totale che in molti hanno descritto. Ritornando alla musica, il brano di apertura Tiger in a Spotlight sembra scaraventare il supertrio in un limbo confusionale totale, li fa diventare quasi irriconoscibili rispetto a quanto realizzato prima tanto da indurre il pubblico, e non solo il proprio, a porsi tutta una serie di domande circa il futuro di questo supergruppo nato da un’idea di Keith Emerson per offrire il massimo in campo progressive. Qui la creatività lascia molto a desiderare nonostante vi siano però buoni propositi in tal senso! La seconda traccia del disco, When the Apple Blossoms Bloom in the Windmills of Your Mind I’ll Be Your Valentine aperta da un fraseggio tastieristico piacevole, quasi un gioco alla Emerson maniera, venne incisa come b-side di Jerusalem, ed è qui alimentata da Palmer e Lake che presentano a sostegno del pezzo fraseggi che sembrano più frutto di improvvisazione facendo capire a chi ascolta che probabilmente, qui, in questo brano, la band non sa proprio dove andare, anzi, cosa fare. Forse l’idea c’è, ma non si capisce. Bullfrog, realizzato con l’apporto di musicisti esterni quali Ron Aspery e Colin Hodgkinson che ben presto vivranno insieme l’esperienza con i Whitesnake insieme a Jon Lord ma di breve durata, dimostra quanto l’influenza di questi musicisti sia presente per le sonorità apportate in un brano che si presenta con una marcata venatura jazz-blues, nonostante l’avvio non sia convincente del tutto. Potremmo forse dire”per fortuna che c’erano loro! Brain Salad Surgery,  da un punto di vista prettamente musicale, sembra avere una certa partitura, ma è la voce di Lake che nonostante sia rozza (in confronto alle sue capacità più conosciute) a non far brillare questo pezzo mentre, con la successiva Barrelhouse Shake-Down, c’è una sicura anticipazione di quello che Emerson avrebbe perseguito poi con Honky Tonk Train Blues. Come sempre accade nei lavori di questo trio, anche qui arriva il turno della ballata di Lake, che con Watching Over You non offre quel lirismo di cui è capace e se si escludono le note di sfondo cantate da Sinfield, beh, anche qui non c’è molto altro da dire. In So Far To Fall la musica inizialmente sembra farsi interessante, ma il pezzo poi lascia indifferenti quanto basta a spostare la puntina del giradischi sulla successiva Maple Leaf  Rag che, per fortuna, dura solo 2.02. anche se in Italia la si è sentita e risentita perchè usata molto come sigla di svariati programmi televisivi – per sfortuna allora non eravamo in piena éra internet. L’arpeggio di chitarra di Lake ci introduce a I Believe in Father Christmas, poi Palmer ed Emerson completano quel quadretto familiare che mai ci saremmo aspettati da questi tre immensi musicisti. Close But Not Touching è stato registrato da Palmer con l’apporto di musicisti esterni, ma anche qui il trio casca in un inizio marziale … e sarebbe stato un pezzo senza storia se il suo sviluppo non avesse portato a quel jazz-soul-rock troppo infarcito di fiati sostenuti da tastiere e chitarra che, ancora una volta, anche qui sono poco convincenti. Il pezzo di chiusura, Show Me the Way to Go Home che nel momento in cui scrivo mi ricorda un passaggio di Toy story (cartoon), è l’epilogo di un album che lascia molto a desiderare, un lavoro fatto forse per tentare di rialzarsi da un vicolo cieco nel quale la band stava per cacciarsi. Ma tutti ben sappiamo che questo trio ha avuto nella sua carriera alti e bassi notevoli passando da capolavori indiscussi a composizioni necessarie solo per contratto. Forse, se si fossero accontentati del primo “lavoro” non ci sarebbe stato questo secondo Works. E sarebbe stato meglio (tranne per alcuni pezzi) …. E pensare che c’è gente che ancora il lavoro non ce l’ha!

 

 

 

 

 

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