Lou Reed – Street Hassle

Questo non è il solito disco, questo non è come alcuni dicono l’inizio del punk o meglio una produzione realizzata dal padrino del punk; questo è un capolavoro come pochi nel rock, ma il solo fatto che i capolavori siano spesso il frutto di un’artista come Reed a più di qualcuno dà ai nervi. Beh, allora teneteli ben saldi i nervi e cerchiamo di capire perché questo Street Hassle è un capolavoro. In Street Hassle è racchiusa l’idea di un Lou Reed classico che nessuno avrebbe mai immaginato; in trasparenza ciò che si sente è il periodo velenoso dei Velvet Underground, la follia, il blues e la sperimentazione sinfonica, quasi una trasformazione di quella che Reed stesso mise su Metal Machine Music, e poi c’è anche l’americanismo cantautoriale delle strade rappresentato da Bruce Springsteen che vi prende parte con una breve recitazione. Siamo nel febbraio del 1978, periodo di pubblicazione di questo disco ma è anche il momento in cui Lou Reed e Rachel si separano e ciò influenzerà poi anche la chiusura del libro di poesie che all’epoca lo stesso Reed stava scrivendo, All The Pretty People. Street Hassle venne pubblicato nel momento in cui l’espansione della new wave era all’apice e fu da molti critici giudicato grandioso. Anche Wharol si scomodò per lui scrivendo nel suo diario “Lou ci ha messo un po’ a venire fuori, ma alla fine ce l’ha fatta ed io sono orgoglioso di lui. Per una volta, finalmente, è se stesso, non copia nessuno. Alla fine ha trovato il suo stile. Ora tutto quello che fa funziona. Gli ci sono voluti anni, in cui Lou ha continuato a lavorare. Ora è molto bravo, è cambiato molto”. Street Hassle è una confessione di fallimento che diventa trionfo, un trionfo di cui lo stesso Reed va orgoglioso tanto da trasformarlo in una sinfonia, quella sinfonia introduttiva che lascia subito esterefatti, eppure è rock anzi è un rock’n’roll animal. L’apertura, affidata a Gimme Some Good Times, richiama volutamente la Sweet Jane che tutti conosciamo, anche se poi il brano si trasforma mantenendo però la stessa struttura di accordi, e non c’è nulla di strano in ciò, Reed ha sempre scritto canzoni con soli tre accordi. Insomma una sorta di paradoia di quel Reed che cantava Sweet Jane e che ora viene guardato negli occhi da un altro Lou Reed, diverso, più maturo anche musicalmente. Un pezzo di acid rock dove l’energia si sprigiona da ogni dove, ma anche un pezzo che coinvolge freddezza e sconforto. Il brano seguente, Dirt, ha molto velvettismo: una batteria essenziale alla Tucker con il basso che sostiene la voce di un Reed che sembra essere tremolante ed incerta. Ma tutti sanno bene che questo è un brano scritto per scatenare l’ira sul suo ex produttore Steve Katz. Il terzo pezzo da cui prende il tiolo l’album, Street Hassle, sembra essere una canzone a sé avendo tante discordanze con gli altri pezzi dell’LP; undici minuti intorno ad un unico giro strumentale introdotto da un violoncello e continuato poi sul basso, un ritmo ipnotico dove si esplicano tre racconti diversi ma che diventano frammenti interconnessi quando nel testo sono affrontati solitudine, angoscia sessuale e morte. E la voce di Reed qui, sembra un lamento quando soprattutto nel finale si giunge a quella travolgente catarsi in cui le strade della New York louridiana trasmettono proprio quelle visioni angosciose di solitudine, droga, morte, sesso a pagamento, sesso proibito. E quando poi parte I wanna be black, ecco è qui che molti si lanciano a dire che Reed è padre del punk …. ma lasciamo perdere ….. perché quando Lou canta “voglio essere nero, voglio avere un ritmo naturale e sparare fino a sei metri di sperma, e fottere gli ebrei”(I wanna be black, have natural rhythm shoot twenty foot of jism too, and fuck up the Jews) e poi ancora “vorrei essere nero, vorrei essere come Martin Luther King, e farmi sparare di primavera, e poi essere il leader di un’intera generazione, e fottere gli ebrei” (I wanna be black, wanna be like Martin Luther King, and get myself shot in spring, lead a whole generation too, and fucked up the Jews) tutto sembra ricondurre al comportamento dei punkers che verranno. Ma sant’Iddio, vuol proprio dire che di questo enorme artista non si è capito nulla! Lo ha mai detto di essere punk? Ha mai affermato che è lui il padre del punk? Ma torniamo al disco; dopo Street Hassle ci si imbatte in Real Good Time Together che è così sperimentale da richiamare le note di MMM, e non solo è anche caratteristicamente di stampo velvettiano con un messaggio inequivocabile, quello in cui Reed dice (probabilmente alla sua/o Rachel) “ci divertiremo tanto insieme, balleremo e faremo l’amore …..). Shooting Star e Leave Me Alone sono in realtà due pezzi che si incastrano vicendevolmente e volentieri, soprattutto sotto il profilo musicale; infatti la prima canzone è un vero e proprio rock frastornante mentre la seconda è così infarcita da distorsioni e fiati …. da lasciare senza fiato per questo disco che, lo confermiamo, è un capolavoro. Si perché i capolavori non sono solo le opere d’arte, anche la musica può esserlo, anche la poesia lo è, e qui la poesia metropolitana di Lou Reed incontra la crudezza di un rock che si evolve e Reed è bravissimo in questo, nessuno come lui ha saputo far evolvere la musica rock restando ancorato a tre accordi o ai semplici suoni di un pezzo come Street Hassle. Un gran bel disco Street Hassle, da molti punti di vista, uno in particolare: questo è un record antimelodico e disarmonico unico nel suo genere, e Lou Reed, grande mente ed “artista”, dimostra ancora di cosa è capace …. altro che padrino del punk!

 

 

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