E.L.&.P. – Works Volume 1

 

 1977 Gli Emerson, Lake & Palmer pubblicano un doppio album, Works Volume 1, che per molti fan segna, di fatto, la fine dell’epoca classica della band. Works Volume 1 contiene tutto quanto li ha portati ad essere amati dal pubblico ma è anche in controtendenza rispetto a quello che stava accadendo in quel periodo quando sembrava che il punk stesse per uccidere il progressive. Qui, in questo Works Volume 1, la formula sperimentata all’epoca era anche una novità assoluta: infatti, tre lati del LP erano destinati alle sonorità di ogni singolo musicista mentre, nel quarto, la band si ritrovava ancora una volta riunita. Per cui, Works Volume 1 è da considerarsi solo parzialmente come una produzione della band. La facciata iniziale prende avvio con il Piano Concerto No 1 di Keith Emerson nel quale i primi due movimenti sono di una delicatezza quasi surrealistica mentre la sezione finale è più violenta e angosciosa. E mentre con Emerson, come spesso accade, sono tuoni e fulmini, la parte di Lake, realizzata con l’apporto dell’Orchestra dell’Opèra di Parigi, si muove in maniera discontinua tranne che per la stesura dei testi ai quali collabora anche Pete Sinfield, e non è da poco conto. La parte destinata a Palmer, come c’era da aspettarsi forse, è completamente strumentale con una buona dose di jazz fusion con idee musicali che si presentano davvero interessanti. Ed essendo questi un lavoro degli E.L.&.P., nella parte di Palmer è possibile trovare anche un paio di classici riadattati quale ad esempio The Enemy God Dances With The Black Spirit, un classico di Prokofiev, tra l’altro autore amato anche da Emerson. E così, dopo i lavori solistici dei tre, giunge la parte in cui la band si ricompone, per una facciata che pur contenendo solo due pezzi, come la partitura di Aaton Copland Fanfare for the Common Man, è fatta in maniera tale da dire che dopo tanto classicismo ed atmosfere dorate finalmente, si giunge ad un bel prog-rock come solo gli E.L.&.P. sanno fare. Con Pirates sembra che il trio voglia raggiungere i pomposi finali cui spesso hanno abituato i propri fans, e così tra musiche di tipo rinascimentale e suoni poliritmici irrazionali, dove a farla da padrone è la voce di Lake che sembra essere cattiva e non pare poi appartenere ad una partitura rock, Pirates dimostra di essere il tassello giusto a chiusura di questo percorso. Ma se la prima impressione che possiamo avere è quella di un suono eccessivo in tutta l’opera, la percezione finale che si ricava è che la band ha intenzione, ora più che mai, di viaggiare in modo diverso dagli albori. C’è una cosa però che gioca a favore di questo album: in tutto il doppio LP quello che si ascolta e si percepisce sono il prolungamento delle note che i musicisti propongono, ed un solitario affiatamento che, nonostante tutto, finisce per giocare come sempre a favore di tutta la band. Anche stavolta, come è spesso accaduto, l’idea scaturita dalla genialità di Keith Emerson vince alla lunga anche su quel pubblico che se all’uscita dell’album era rimasto esterefatto, a lungo andare ha dovuto ricredersi e fare un passo indietro mentre, dall’altra, i tre musicisti, accompagnati in studio da nomi di tutto rispetto, ancora una volta hanno vinto la sfida con se stessi e con gli altri. Works Volume 1 non può mancare nella discografia degli amanti del progressive. Questo album del 1977, fa ben capire dove la musica tutta stesse andando in quel periodo. Per fortuna che né il punk né altri suoi derivati riuscirono ad uccidere questo fondamentale passaggio. Probabilmente se la band avesse proseguito sulla via tracciata dai precedenti Tarkus e Brain Salad Surgey, la storia sarebbe stata diversa, ma la decisione di abbandonare da parte di Emerson il tanto amato Hammond, ha giocato in maniera completamente opposta anche su Lake e Palmer portando quest’ultimi a realizzare quanto lo stesso Emerson aveva in mente sin dall’inizio ….. un lavoro praticamente intriso di sinfonismo.

 

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