E.L.&.P. – Trilogy

Il mio amico Donato Zoppo scrive nel suo volume “Prog. Una suite lunga mezzo secolo”: “Il 6 luglio è nei negozi Trilogy, il quarto album degli E.L.&.P. la cui strada è in discesa visti i recenti successi di Tarkus e gli ormai spettacolari live, allestiti con tanto di armadillo tecnologico sul palco. Il 1971 ha visto gli E.L.P. per due volte sui palchi americani e anche l’anno nuovo comincia negli Stati Uniti tra stadi, college e teatri dove presentano in anteprima qualche nuovo brano. Trilogy torna idealmente alla varietà del debutto: non è un caso che la superba suite tripartita The Endless Enigma guardi alle sfumature di Take A Pebble  e che la fascinosa From The Beginning sia un secondo atto di Lucky Man, tanto da diventare un popolare singolo (quinto in America e secondo in patria). Trilogy ha un singolare equilibrio dovuto alla coesione che la band ha maturato dal vivo; …………..  Trilogy porta gli E.L.&.P. in cima alle classifiche: secondo posto in patria, quinto negli States, 300 mila copie vendute ……..”. Insomma un disco progressivamente assoluto che, a differenza del progressive più conosciuto, contiene composizioni meno ambiziose ma, soprattutto, brevi. Tutto ha inizio con un battito cardiaco, appena appena percettibile, che sarebbe diventato l’incipit di alcuni brani che troviamo in A Passion Play dei Jethro Tull e in The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd anche se i significati sono diversi. E’ questo l’incipit di The Endless Enigma che mira ad inquadrare il racconto della vita, racconto sostenuto dai suoni creati dal moog di Emerson e dagli inserimenti del basso di Lake o dei bonghi di Palmer. Ma qui il vero punto centrale è il pianoforte di Emerson che esplode in tutto il suo classicismo rockeggiante ed i cui riferimenti sono quelli di un Mendelssohn dell’epoca moderna. Il bell’inizio di questo Trilogy non fa certo presagire cosa avverrà dopo, i suoni del synth e l’hammond in sintonia con il pianoforte aprono la strada ad appena due minuti del secondo pezzo, Fugue, classico tra i classici del compianto Emerson che si scatena come non mai sui tasti d’avorio del pianoforte sempre più comandato e accarezzato dal grande tastierista. The Endless Enigma (Part. 2) riprende con efficacia il tema che apre l’album, ma lo concepisce con forme e suoni leggermente diversi con un finale caratterizzato dalla voce di Lake, sostenuta da sfumature di moog, che canta “Each part was played, Though the play was not shown, Everyone came, Though they all sat alone, The dawn opened the play, Breaking the day, Causing a silent hooray, The dawn will break another day, Now that it’s done, I’ve begun to see the reason why I’m here.” Il quarto pezzo, o meglio, il vero movimento di questo LP è From The Beginning, conosciutissimo da tutti, una morbida ballata acustica di Lake arricchita sul finale da Emerson con il suono di un bel moog, mai troppo invasivo anzi, quasi di contorno. Qui, Lake si rivolge ad una donna con la quale ha avuto un’avventura decisa, e lo si comprende sin dall’inizio del brano, da una cercata e sprezzante avventura sessuale. Poi giunge il momento della passione, non quella amorosa,  bensì la passione emersoniana per le atmosfere honky-tonk eseguite al pianoforte che sfociano in The Sheriff  che diventa una vera e propria burla del buon vecchio west dove spesso accade che sia il bandito ad uccidere lo sceriffo, bandito destinato poi a diventare leggenda. Con Hoedown Emerson rende omaggio al compositore di musica contemporanea statunitense Aaron Copland, pezzo che in seguito diventerà il brano di apertura delle loro serate live grazie all’uso non consueto del synth da parte del tastierista. Quando è il turno del pezzo che dà il titolo all’album, la voce di Lake ci trasporta, come sempre, in un paesaggio da sogno; Trilogy nel testo racchiude l’addio ad una donna, ma il sound che Emerson scatena, sostenuto dalla ritmica al basso di Lake ed alla batteria dal Palmer fondamentale in questo percorso, fanno emergere tutto quanto il suono del moog sia in grado di realizzare e comunicare. E sono davvero il moog e la ritmica qui ad essere le colonne portanti dell’intero pezzo. Finalmente, poi, si giunge al progressive puro di Living Sin dove la voce di Lake gioca ad alternare suoni gravi ad improvvisi acuti dimostrando, se ce ne fosse bisogno, le sue capacità vocali e trasformiste concentrate in soli tre minuti. Abaddon’s Bolero è un brano strumentale appositamente lungo che segue il Bolero di Ravel ma con un tempo diverso rispetto all’opera del francese Joseph Maurice. L’assoluta novità di questo brano del trio prog inglese è la timbrica diversa degli strumenti che sembrano dialogare tra loro fino all’esplosione finale. Un pezzo capolavoro per la sua complessità che dimostra davvero quanto questo supergruppo sappia essere non solo un trio ma un’intera orchestra rock. Trilogy riassume al meglio la vocazione di un trio che sarà conosciuto da tutti per la sua capacità di proporsi su ogni fronte ma con cambi strutturali complessi ed unici. In una intervista rilasciata da Keith Emerson anni fa lo stesso ebbe a dichiarare a proposito di Trilogy “quella era un’epoca di grandi sperimentazioni ed eravamo eccitati per la direzione che prendeva il nostro suono, così come lo era il nostro pubblico. Percorrevamo la stessa strada.” Solo i grandi artisti sono stati sempre all’unisono con il pubblico, e gli Emerson, Lake & Palmer lo sono sempre stati.

 

 

Ti potrebbe interessare