Lou Reed – Sally Can’t Dance

Nel 1974 il soul stava letteralmente prendendo piede e per un artista come Lou Reed ci troviamo di fronte ad una fase che rispetto alla precedente ha poco di creativo. Eppure, nonostante ciò, l’album che ne uscì fuori, Sally Can’t Dance, se da un lato fu un successo commerciale, dall’altro poneva agli affezionati del sound louridiano una serie di domande su dove l’artista stesse andando. Per cronaca, la recensione di questo lavoro di Lou Reed non ci appassiona molto a differenza di tante altre produzioni dello stesso Reed che hanno scolpito il rock, ma si sa, si devono lasciare fuori i sentimenti in certe situazioni ed essere quanto più obiettivi possibile. In questo disco non c’è nulla del vecchio animale del rock’n’roll che conosciamo, forse qualcosa trapela attraverso i testi, ma la musica lascia un vuoto difficilmente colmabile tranne per il brano Ennui che è probabilmente l’unico vero pezzo che vale la pena di ascoltare più di una volta. Sembra quasi che la Sally che non può danzare è il Lou Reed stesso del periodo e di quel periodo in particolare nonostante i precedenti trascorsi dì Transformer e Rock’n’roll Animal. La maggior parte del disco si concentra sulle osservazioni che Reed fa in merito alle peggiori conseguenze degli stili di vita che hanno marchiato brani come Walk on the wilde side e così, Baby Face parla della fine di una relazione omosessuale mentre N.Y. Stars si catapulta in maniera ironica su coloro che hanno cercato di seguire le orme del popolo warholiano. Insomma, una sorta di ricerca del passato ma allo stesso tempo anche una sorta di negazione che ritroviamo poi in Ennui quando Reed canta “You’re the kind of person/That I can do without” vale a dire “Tu sei il tipo di persona/di cui posso fare senza”, una vera e propria rottura con Andy che lo riporta un po’ al suo passato movimentato ed ancora troppo vicino per essere dimenticato, un passato dove i suoi genitori cercarono di curare le sue inclinazioni omosessuali attraverso elettroshoch, un passato che ritorna in quel Kill Your Sons e che diventa devastante se lo si ascolta più volte. E basterebbe solo questo pezzo a dare significato all’intero album perché qui, davvero, il linguaggio che Reed usa è davvero animalesco. E si capisce subito quanto questa produzione, venuta dopo eccellenti capolavori, sia basata anche sulle idee che Lou Reed ha sempre avuto in merito ai critici, una vera e propria sfida aperta per capire come proprio quei critici che lo avevano sempre attaccato si sarebbero comportati. Ed a Reed non è mancato di certo il sorriso quando proprio quei critici premiarono un album prettamente commerciale, fatto da Lou Reed appositamente così nonostante il mantenimento del linguaggio da “animale” del rock. Sally Can’t Dance non è un album perfetto, al contrario, ma è essenziale per i fan, per capire più a fondo la personalità di questo artista multiforme, viscerale e ….. animale. Lou Reed odiava questo album, lo odiava per come era nato, per come era stato concepito, ma non si può prescindere comunque da questo passaggio per conoscere meglio l’artista; si l’artista, perché l’uomo, la sua storia, la conosciamo in tanti così come sappiamo quanto egli stesso ebbe a dichiarare a proposito di Sally Can’t Dance: “Per Sally Can’t Dance non ho fatto altro che dormire, ho inciso la voce in una sola seduta, circa venti minuti, e poi addio: I produttori mi davano un suggerimento ed io rispondevo loro: Ok, va bene. Non so scrivere canzoni da ballare, sono venute malissimo, e stavo cantando la peggior merda del mondo”. Come sempre, aveva ragione.

 

 

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