Jethro Tull – Rock Island

Dopo che il precedente album dei Jethro Tull, Crest Of A Knave, ebbe ricevuto così tanti apprezzamenti e lodi da parte della critica da fargli raggiungere l’ ambìto traguardo del Grammy, l’indiscusso leader della band, Ian Anderson, pensò che proseguendo sulla stessa scia compositiva non ci sarebbe stato alcun giovamento nè per la band nè per il sound che, in quel momento, sembrava fosse giunto ad un punto di stagnazione. Ed infatti se così possiamo dire, stagnazione fu; Rock Island sembra essere simile al precedente Crest Of A Knave con i Jethro Tull portati a concepire un album di rock progressive a tutti gli effetti con una notevole rilievo delle sonorità rock vere e proprie a discapito del folk prog fin lì prodotto e per il quale erano stati unici in tutto. Purtroppo, nonostante quanto detto prima, anche in Rock Island la voce di Ian Anderson sembra soffrire ancora di quella debolezza riscontrata in Crest Of A Knave,  mentre la chitarra di Barre appare stranamente ben al di sotto di quanto dimostrato nei precedenti lavori. Qui, in  Rock Island, Anderson, canta di balenieri, di mandolini rubati e di donne dalla discutibile reputazione senza riuscire mai ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore nonostante vi siano riferimenti nostalgici al passato, come ad esempio Aqualung. L’intero album appare infatti come una fermata dove il bus sembra non giungere mai, anche se in brani come Big Riff And Mando la band ritrova occasionalmente l’ispirazione che l’aveva colpita agli esordi. E c’è di più: le melodie qui non hanno uno sviluppo concreto anzi, e questo non accadeva da tantissimo tempo, le stesse non hanno modo di svilupparsi e progredire diventando così una sorta di vero e proprio lamento che nemmeno l’inserimento dei riff flautistici di Anderson riescono a far decollare. Per chi ha ascoltato attentamente Rock Island sembra che solo un brano possa essere degno di nota, vale a dire quel A Christmas Song il cui impatto melodico dà davvero il senso a tutto l’album anzi, a quell’isola che i Jethro hanno voluto immaginarsi. Purtroppo dobbiamo dire che l’album in questione è davvero privo di idee interessanti, un prodotto che va ben al di sotto di quelle “tracce” incise nel passato cui i Jethro ci avevano abituato. Ancora oggi, a distanza di tempo, riascoltare questo lavoro non fa bene, forse storicamente rappresenta un passaggio obbligato per chi come noi ha questa passione, ma il risultato di allora non cambia anzi Rock Island sembra essere l’inizio di una fase finale, il countdown vero e proprio per i Jethro Tull. Questo disco è davvero un passaggio del quale se ne poteva fare a meno, un’operazione capace di oscurare tanti pregevoli lavori precedenti così come oscura quel Grammy guadagnato con il lavoro serio di una band senza eguali al mondo. Dopo Crest Of A Knave i Jethro non dovevano percorrere la strada di Rock Island, se si fossero fermatiancora un po’ forse avrebbero probabilmente prodotto un lavoro degno del nome che portano. Qui c’è solo rumore, magari divertente, ma niente di particolare, e magari quel rumore lo si potesse paragonare a cose tipo……. Metal Machine Music; lì c’è rumore si, ma di tutt’altro genere, tanto da far diventare lo stesso rumore suono. Che dire poi dei testi? Già, quelli sono davvero insipidi per le tracce rock pensate. Qui i Jethro Tull hanno mancato di nuove idee, la tendenza è stata quella di ricadere su alcuni passaggi presenti in precedenti lavori che non hanno funzionato a dovere. Crest Of A Knave è stato apprezzabile quanto vogliamo, Aqualung mastodontico, Tick As A Brick lodevole, ma di Rock Island ne avremmo potuto fare a meno in molti, almeno credo. Peccato perche questi Jethro Tull, pur tra alti e bassi, sono comunque grandi.

 

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