Velvet Underground – White Light/White Heat

Per la gente che frequentava il Chelsea Hotel ed il Max’s, i Velvet Underground erano il gruppo,  anzi, “la loro band”. Ai Velvet Underground pur sapendo quanto stava accadendo, mancava però di fatto il sostegno della casa discografica. Sin dal loro primo lavoro, anzi, sin dalla prima copertina, ai Velvet piaceva utilizzare le immagini per accompagnare la musica, un insegnamento dell’amico Wharol che aveva disegnato la famosa banana gialla in funzione di quelle musiche, un prodotto che aveva efficacemente funzionato nell’intera promozione. E così anche per questa seconda produzione, la copertina di White Light/White Heat, nascondeva un mistero corporeo impalpabile che portava il pubblico ad un esame minuzioso della stessa per poter scoprire nella foto oscurata utilizzata, il tatuaggio di Billy Linich fotografo e regista statunitense nonché “il fotografo ufficiale della Factory di Andy Warhol” durante gli anni sessanta. Per capire con esattezza la fase nella quale ci troviamo, sono di quello stesso periodo due composizioni che miravano ad ampliare i confini convenzionali del rock, e cioè i Beach Boys ed i Beatles che avevano lanciato, i primi, Pete Sounds, ed i secondi Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ma come è spesso successo, gli alternativi Velvet Underground, con questo nuovo lavoro oltrepassano tutti i limiti imposti dalle major e dalle stesse idee che in quel periodo animavano la produzione artistica di diverse band. White Light/White Heat era il primo vero album che proponeva rumore allo stato puro, quel rumore che era il reale simbolismo del periodo dove regnavano confusione, disperazione, orrore divenuti sempre più parte del quotidiano, quel quotidiano che si sarebbe tradotto poi in “senza tempo”. Si proprio così, perché l’album White Light/White Heat così come The Velvet Underground & Nico avrebbe in futuro continuato ad alimentare ed ispirare nuove generazioni di band, e lo fa tutt’oggi. White Light/White Heat è potenza pura, o almeno così lo era nelle intenzioni di Lou Reed & C.; tutto è concentrato sul rumore puro, e per capire ciò e sufficiente isolare con un semplice programmino scaricabile da internet il basso di Cale. Ed è anche da lì che in futuro, il Lou Reed solista concepirà poi quel Metal Machine Music che in molti definiranno “inutile” ma che in realtà ricalca, a distanza di tempo e con tecnologie più all’avanguardia, quei suoni che sono alla base di questo nuovo, esplosivo lavoro dei VU, White Light/White Heat.  E non finisce qui; già perché un album così, che ha ispirato tanto chi è giunto dopo i Velvet, ha dato davvero il via alla nascita dell’alternative rock in tutte le sue sfumature, comprese quelle giunte a noi negli anni ottanta, anche se da quel disco dei Velvet Underground, pubblicato nel 1968, mai ci si sarebbe aspettati che diventasse il vero ispiratore di tutta quella musica indipendente underground che il rock, quello di White Light/White Heat, è stato definito anche rock alternativo perché infarcito di suoni distorti di chitarra e testi trasgressivi come solo la mente dei Velvet, anzi quella di Reed e Cale in particolare, erano in grado di concepire. Ma per completare il discorso su questo ulteriore capolavoro non va dimenticato quanto anche i poeti dell’epoca avessero influenzato il sound velvettiano. Se si pensa, ad esempio a Lady Godiva’s Operation, nello stesso pezzo risalta più che mai la componente interpretativa di William Burroughs, e la Lady Godiva dei Velvet diventa un capolavoro del trasformismo umano “Legato saldamente al lettino bianco, l’etere fa rattrappire e storcere il corpo, sotto la luce bianca. Il medico arriva con coltello e valigetta, vede la protuberanza, sembra un cavolo, che ora va tagliata via”. Una più che esplicita dichiarazione sul mondo che Reed ha sempre cantato e voluto rappresentare, quel mondo che lo ha tanto marchiato ma anche osannato, quel mondo che lo stesso Wharol ha contribuito a rappresentare attraverso l’arte. Ma White Light/White Heat fu definito da Lou Reed “la quintessenza del punk articolato” e nessun critico, mai, è stato in grado di coniare un’espressione più azzeccata di quella louridiana per un album che come il primo dei Velvet Underground ha fatto e continua ancora oggi a fare storia. Ma qui il vero artefice, il sommo sacerdote velvettiano non è l’ideologo Lou Reed, ma il grande Cale, musicista di provenienza classica che si impone come guida silenziosa della band, eh si perché è proprio lui a guidare i Velvet nelle direzioni più avanguardistiche e sperimentali, tutte ben palpabili in White Light/White Heat. Nonostante ciò però quest’album è anche un prodotto che divide il pubblico dei Velvet, un a incisione che porta ad opinioni contrastanti nel bene e nel male, un LP che molti definiscono di passaggio ma che in realtà è fondamentale per tutto quanto rappresentò all’epoca e rappresenta ancora oggi, perché è stato ed è ancora fondamentale per l’oggi e nper il futuro; eh si, perché nessun musicista rock potrà prescindere da quei “rumori” che sembrano aver intrappolato non solo il tempo ma l’evoluzione sonora, perché è come se nel caos ci fosse vita. Ad aprire White Light/White Heat proprio la title track, un pezzo che racconta l’esperienza dell’assunzione di anfetamine, con calore e luci che catturano ma che provocano allucinazioni che  fanno impazzire il protagonista, il tutto condito da un ritmo inusuale di blues sulla minimale batteria della Maureen Ann Tucker, detta anche Moe, che ai Velvet ha dato quell’essenzialità ritmica quasi elementare ma così efficace da rendere il percussionismo velvettiamo un vero capolavoro. Ma è anche qui, in questo brano di apertura, che si insinua il basso di Cale con un sound che non invade ma contribuisce a rendere il tutto disordinato senza scalfire di una nota fuori scala la bellezza di questo pezzo. Ed è proprio questo il bello di White Light/White Heat, un brano dal ritmo ossessivo ma nel complesso caotico e intenso, un pezzo che esplode in testa, una composizione che è mito ……. urbano. The Gift si presenta da subito come l’esperimento più riuscito di tutto l’album, un passaggio davvero ipnotico dove la calda voce di Cale si innesta nel disordine della canzone che sembra essere concepita proprio per creare scompiglio dove l’elettricità è la chiave di una distorsione continua. Un regalo che i solo Velvet Underground potevano fare perché nessun altro sarebbe stato in grado di concepire rock ad alto tasso discorsivo. Con il terzo brano Lady Godiva’s Operation il salto nel “diverso” diventa unico, sia per il tema trattato che per i risvolti di quell’epoca. Si perché un tema sessuale così esplicito è ricamato su uno scorrere di tamburi e chitarre che pian piano svaniscono sostituiti da battiti cardiaci e profondi respiri e sussurri. E la voce di Cale è appassionata come non mai. Ma anche con Here She Comes Now il tema sessuale è presente, si perché la storia qui narra di insoddisfazioni da parte della compagna del personaggio di questa storia, una sorta di specchio louridiano alla ricerca di quel senso di armonia sessuale che ancora gli manca. Con I Heard Her Call My Name ritorna la descrizione dell’amore, amore alla velvettiana maniera naturalmente, dove ritmiche a doppia velocità e chitarre sferzanti sconvolgono per far piombare chi ascolta (o forse i Velvet Underground stessi) in una sorta di abbandono ipnotico. E quando poi giungiamo alla chiusura di questo album con il brano più sconvolgente, di certo la rappresentazione più vera di quello che sono i Velvet Underground, Sister Ray ciò che rimane è uno stravolgimento alienante ed alienato. Diciassette minuti ed oltre che anticipano davvero il futuro, quasi una suite di cui si ciberanno in futuro le band di progressive, un pezzo che è puro delirio nel testo così come lo è nella musica, innovativa, ai limiti dell’immaginario, un brano che parla di assoluta decadenza. E così, a conferma di quanto finora detto e dell’importanza di questo capolavoro, ci sembra giusto chiudere questa nostra recensione, meglio ancora riflessione, con le parole del compianto Lou Reed: “Allora stavamo già facendo dell’heavy metal. Voglio dire, se Sister Ray non è un esempio di heavy”. Aggiungiamo noi: “ Ma White Light/White Heat non vi sembra segno di futuro? Già perché il futuro è adesso!”

 

Ti potrebbe interessare