Alice Cooper – Special Forces

Special Forces è il sesto album da solista in studio di Alice Cooper, uscito nel 1981, e prodotto da Richard Podolor, noto come produttore per Three Dog Night.

Cooper, per promuovere il suo nuovo album è apparso nello show televisivo di Tom Snyder per poi partire per un estenuante tour che lo ha visto protagonista oltre che negli States anche in Canada, Francia, Spagna e Regno Unito. Il tour è comunque stato un grande successo di pubblico per il vecchio Cooper che non si faceva vedere in giro, almeno in Europa, sin dal 1975.

Special Forces è il primo di una sorta di trilogia solista composta anche da Zipper Catches Skin pubblicato nel 1982 e da DaDa uscito nel 1983 quasi a voler rimarcare una sorta di ritrovata vena compositiva (!) da parte dell’artista. Nonostante il continuo abuso di sostanze stupefacenti, la mancanza dalle scene in quel periodo è stata poi rimarcata anche dai ritardi nello show di Toronto dovuti ai fermi dell’artista negli aeroporti, momenti questi di una carriera sempre in bilico tra l’inferno ed il paradiso e che hanno influito parecchio anche sulle vendite.

Con Special Forces il buon vecchio Cooper sembra però aver smarrito la strada fin lì percorsa e che, di fatto, gli aveva procurato anche degli ottimi successi; il chitarrista Dick Wagner era andato via dalla band ed anche Bob Ezrin lo aveva abbandonato in quanto lo stesso Cooper aveva preferito a lui Roy Thomas Baker, noto per il suo lavoro con i Queen, attestandosi poi su Richard Podolor, produttore di Special Forces. Certo, Podolor fu una scelta alquanto strana perchè amante dei suoni puliti e semplici e nonostante una serie di accrediti importanti (Steppenwolf, Black Oak Arkansas), il produttore non risultava essere in linea con le scelte musicali di Cooper. Forse, fu proprio ciò il punto cruciale di questo forzato nuovo lavoro: dieci tracce che si concentrano direttamente sulle ossessioni di Cooper con un suono che nonostante il passo coi tempi del 1981, non si amalgama bene con i testi.

In Special Forces, la presenza di Mike Piners, noto per aver militato negli Iron Butterfly, e di Duane Hitchings conosciuto per essere stato a fianco di Rod Stewart, non sembrano essere all’altezza dei vecchi Flo ed Eddie che avevano sostenuto ed erano diventati parti importanti del suono cooperiano.

Il brano di apertura Who Do You Think We Are fa da subito notare una sorta di contemporaneità di suoni alla Moody Blues per poi lasciare il posto ad un rock molto più vicino ad un Jerry Lee Lewis in cui la voce di Alice appare veramente ruvida, quasi lontana. Seven And Seven Is sembra essere una buona idea, ma i tempi dispari utilizzati, le tastiere che sostituiscono quasi del tutto le percussioni ed i continui cambi fanno di questo brano una composizione disfattista anche se animata da nobili intenzioni. E’ invece il carattere narrativo in prima persona di Prettiest Cop On The Black che riporta indietro nel tempo all’Alice che tutti hanno conosciuto ed amato. Ma anche qui la pecca delle chitarre che mancano, almeno quelle chitarre da ruggito che hanno abituato i fan al sound cooperiano. Old To Me è per Cooper un brano da sperimentalismo dove tastiere e voce sono i punti di un apice e di un istrionismo ricercato, mentre Generation Landslide ’81 è un miscuglio di strumenti dove il basso la fa da vero padrone. Con Skeletons in the Closet ritroviamo invece un Cooper al passo con la new-wave del periodo anche se l’approccio vocale non è al massimo, ma se l’artista che conosciamo si fosse spinto più in là avremmo potuto affermare ben altro. In You Want It, You Got It i sintetizzatori hanno il sopravvento e così il brano appare stanco ed ibrido. Più che ad una canzone, sembra infatti di trovarsi di fronte ad un demo. Il ritmo del successivo You Look Good In Rags è ben sorretto da un accattivante riff che fa risultare il pezzo come, forse, il migliore dell’intero album. La penultima traccia You’re a Movie invece suona alquanto stanca e decadente, quasi una sorta di fotografia dell’Alice Cooper che sembra demotivato e, forse, anche disinteressato, un vero e proprio shock per i fan. Vicious Rumors che chiude il lavoro completa un percorso “ombroso” per un disco della durata di soli 35 minuti. Sembra che tutto sia stato forzato, messo lì su vinile solo per un dovere e nulla più. I riff di chitarra presenti sono blandi, la produzione è sterile, le drums non si distinguono, i testi quasi senza senso fanno di questo lavoro una produzione di cui  Cooper avrebbe potuto farne a meno. Ma si sa gli obblighi di etichetta vanno ben al di là dei momenti tetri e bui nei quali, spesso, i rocker piombano. Un disco che se lo ascolti una sola volta è più che sufficiente, un disco, per noi, deludente perché il Cooper che conosciamo non è questo.

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