Jetrho Tull e Stand Up

Jethro-Tull-Stand-UpOgni traccia, ogni solco, ogni suono di questo album hanno qualcosa di speciale. Per i Jethro Tull e per lo stesso Anderson è un deciso passo in avanti verso nuovi orizzonti ben diversi dal blues contenuto in This Was.

Se This Was faceva già pensare ad un’esordio folgorante da parte dei Jethro Tull, il secondo album della band guidata da Ian Anderson non è da meno. Lo si potrebbe definire “fantastico” ma prima di esprimere le nostre sensazioni, è appena il caso di fare alcune riflessioni tecniche.

I Jethro, messe da parte le influenze blues che avevano imbottito This Was, offrono con Stand Up la loro particolare musica, combinazione fatta di rock, folk, prog che strizza un’occhio anche al più complesso sinfonismo puro. Ma c’è di più: infatti per realizzare questa produzione la band utilizza strumenti come il mandolino, la balalaika ed il flauto traverso che allora – siamo nel 1969 – erano considerati inconsueti.

Di quest’album va sottolineata l’apertura che i Jethro fanno nei confronti dell’allora nascente progressive (è dello stesso anno la pubblicazione di In The Court of  the Crimson King disco considerato a tutti gli effetti quale esordio del genere progressive); Ian Anderson per la realizzazione di This Was, aveva collaborato con lo scomparso chitarrista Mick Abrahams e, nel frattempo, aveva maturato altre esperienze musicali, anche di breve durata, con il chitarrista dei Black Sabbath – Tony Iommi – proprio nei primi mesi del ’69. Questa collaborazione  porta poi Anderson ad affermare con questo lavoro dei Jetthro Tull, il proprio ruolo guida nella band che inizia proprio da quest’album ad avviarsi verso un rock di natura progressive.

Vi dirò qui che secondo il mio modesto parere, per quest’album è sufficiente un solo ascolto per apprezzare quanto il disco rappresenti nel vasto panorama progrockfolk.

Ma a favorire questa produzione, che è sicuramente la più carismatica di tutta la produzione Jethro, è la bella copertina che contribuisce a rendere Stand Up uno dei più favolosi album della storia del rock (sempre personale questa convinzione).

In Stand Up c’è tanta originalità, c’è tanta attenzione, ma c’è anche (già) tanta esperienza,  ed è capitato a sole poche band essere considerate già esperte sin dal secondo lavoro se non addirittura dal primo.

Qui il talento andersoniano  nel comporre musica esplode in tutta la sua interezza, diventando così da parte di Andeson  una concezione personale della musica che si ispira ad esempio ai Led Zeppelin per i riff blues heavy rock di brani come “A New Day Yesterday” o per “Nothing is Easy”, mentre sembra che i brani tipicamente folk come “Look into the Sun” siano  ispirati dal cantautore inglese Roy Harper il cui stile è stato sempre caratterizzato da lunghe “variazioni musicali”.

Ogni traccia, ogni solco del disco ha di per sé qualcosa di speciale, talmente speciale che ti riporta a riascoltarlo e riascoltarlo senza mai annoiarti, senza mai che la musica composta caschi nel banale, nel già sentito. Saranno sensazioni che di certo non tutti proveremo allo stesso modo, ma per uno che è cresciuto tra King Crimson, Genesis, Gentle Giant e, appunto i Jethro Tull, tutto ciò non è banale.

Ed è tutta meraviglia quello che si ascolta, la stessa meraviglia e perfezione che ci ha colpito quando sul piatto del nostro giradischi abbiamo  messo Selling England by the Pound dei Genesis o Led Zeppelin II dei grandi Zeppelin.

Ma c’è anche il classicismo puro quando si giunge all’ascolto di Bourée di Johann Sebastian Back nel quale la maestrìa di Ian Anderson vien fuori con tutta la sua potenza. E  non finisce qui, infatti quando la puntina del giradischi affonda nei solchi di Jeffrey Goes to Leicester Square scopri che c’è una sorta di anticipazione della world music, un brano in cui Anderson gioca con un balalaika russo.

Questo secondo perfetto, questo Stand Up unico nella sua composizione e  nella sua musicalità fa si che i fan, e non solo quelli, proiettino questo album al primo posto della classifica britannica raggiungendo anche la Top 20 della Billboard.

Che dire di più di questo lavoro?

Partenza in blues, influenze folk, complesse strutture strumentali confermano quanto questo disco abbia realmente rappresentato per i Jethro Tull: un lavoro intenso e capillare dove tutto il folk in esso contenuto si trasforma e si amalgama intorno a quel concetto progressive che è “sperimentazione e ricerca sonora” ma anche intreccio di strumenti e suoni che rendono unico il genere.

Ogni traccia, ogni solco, ogni suono hanno qualcosa di speciale; per i Jethro Tull e per lo stesso Anderson è un deciso passo in avanti verso nuovi orizzonti ben diversi dal blues contenuto nel precedente album. Inoltre l’album rappresenta anche un ulteriore passo in avanti per quel Canterbury Sound dove i JT hanno saputo conquistarsi un posto con un suono che possiamo definire Tull.

E come si fa non definirlo così quando le musiche contenute in Stand Up viaggiano tra poderosi hard rock, aree psichedeliche, folk, ottimi brani dove il jazz è inserito con stupefacente maestrìa?

Ogni amante del rock che si rispetti non dovrebbe farsi mancare un disco così, se non lo avete cercatelo e arricchitevi di una musica unica che non smetterà mai di stupirvi nella sua bellezza.

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