Un viaggio nel progressive canterburyano – CARAVAN

Caravan-CaravanIl primo album dei Caravan resterà nella storia. Strutture interessanti e grandi musicisti fanno di questo album un vero capolavoro. Non perdetevelo!

Il primo album dei Caravan prende direttamente il nome – come del resto accade sempre agli esordi – dal gruppo stesso che lo realizzò e del quale facevano parte Pye Hastings alla chitarra, basso e voce, Richard Sinclair alla chitarra, al basso ed alla voce, il fratello di quest’ultimo David Sinclair all’organo, pianoforte e voce, e Richard Coughlan alla batteria.

La band si era formata dallo scioglimento dei Wilde Flowers, gruppo progenitore del sound canterburiano di cui facevano parte anche musicisti entrati di diritto nella storia come Kevin Ayers e Robert Wyatt che però presero un’altra strada, certamente non meno leggendaria, anzi.

Di questa famiglia faceva parte anche un certo Daevid Allen che si guadagna sin da subito la nomina di musicista alternativo e progressivo. Per dirla in poche parole, da questo sconosciuto gruppo, quello dei Wilde Flowers,  nascono e crescono i fautori di un modo nuovo di intendere e concepire la musica che sarà poi etichettata come Canterbury Sound  e che nei Soft Machine e nei Caravan vedrà le proprie punte di diamante.

Nel 1968, anno di avvio di contestazioni e di nuovi modi di concepire anche la politica, avviene l’esordio dei Caravan che fanno subito notare quanta sia la differenza tra loro ed i Soft Machine; infatti la musica di questi ultimi è concepita su espansioni quasi cosmiche ed armoniche mentre i Caravan puntano più su sviluppi jazzistici e sull’utilizzo di tempi, per l’epoca, molto strani quali i sei ottavi.

Di sicuro il fatto di appartenere ad una terra che di storia ne ha macinata tanta è anche una fortuna; le influenze non mancano, anzi, è proprio la storia della zona di provenienza a dettare qualcosa di incomparabile come il sound che i Caravan mettono su e che darà vita poi ad un esordio che ancora oggi è storia ma che resterà, comunque, originale nella sua complessità. Così come storia è divenuta quella di San Thomas Becket, sepolto proprio nella splendida cattedrale di Canterbury, e che pagò con la vita la difesa di essere liberi nel praticare il proprio culto. E il paragone, statene certi, regge.

Ed allora, metto Caravan sul piatto il disco e mi accorgo che la musica resiste ancora al tempo anzi, non solo quel suono torna quasi familiare, di più ci proietta lontano verso una psichedelìa quasi impalpabile ma che anticipa, e di molto, quello che poi sarà definito come il suono di Canterbury o il Canterbury Sound che dir si voglia.

L’aria che si respira in questo disco è diversa dal solito rock, non è ad esempio quello di un Jimi Hendrix & C. i cui concerti negli States sono aperti dai cugini caravaiani dei Soft Machine; qui le influenze sono le più disparate, anche se il pop eccentrico e melodico prodotto sembra incastrato, quasi forzato alla coabitazione con le lunghe partiture strumentali, un canovaccio stilistico che farà epoca.

Le loro sono composizioni che danno davvero il senso di musica colta, quasi un’orchestra che tende a superare i limiti della popolar music  ma che di fatto è una specie di popolar-jazz-sperimental-progressive canterburiano che ha lasciato un segno importante, tangibile ancora oggi. Ed il fatto che i musicisti in questione si divertano in questo intreccio assurdo di note la dice lunga sulle potenzialità recuperate dalle ceneri dei Wilde Flowers.

I Caravan, per ciò che sono stati, per quello che hanno rappresentato e per ciò che sono ancora oggi, hanno regalato splendide gemme sonore al prog ma hanno dato un essenziale contributo anche alla musica di ricerca moderna (non me ne voglia alcuno ma la penso così), e come loro pochi musicisti possono fregiarsi di tale considerazione.

Ed il primo disco dei Caravan, pubblicato per la Verve sembra proprio essere una sorta di passaggio tra le sonorità dei Wilde Flowers e questo nuovo astro nascente, capace di fondere la pura poesia nelle sempre più ricercate partiture sonore. E se il 1968 è l’anno di inizio di un movimento che investirà il mondo intero, quel movimento splenderà ancora di più grazie alla musica di questi immensi pionieri.

Si capisce sin da subito che i Caravan seguono più gli impulsi naturali ed il cuore, si capisce subito che il gruppo ricerca una diversità perché diversi vogliono essere rispetto ad altre band e …. come spesso si dice …. il talento dei musicisti e la loro combinazione portano ben presto a qualcosa che, ancora oggi, è unico: istinto, cuore, sperimentazione …. e scusate se è poco.

Caravan, Soft Machine, Gong, e molti altri ancora, hanno fatto sì che la scena di Canterbury continuasse ad essere presente anche cinquant’anni dopo, una presenza costante in quel progressive che vive ancora oggi, magari in modo diverso, più ricercato, ma mai dimenticato ed anzi in continua evoluzione anche con i tempi attuali.

E c’è di più; la cosa che ci piace qui ricordare è che anche negli anni duemila, anzi, ancora oggi, ci sono tantissimi giovani in particolare che, uscendo dagli schemi consumistici e di etichetta,  scoprono la musica dei Caravan, dei Soft Machine, degli stessi Gong e di tanti altri e ciò può far bene solo alla musica, quella non banale, quella non incisa con un programma free del computer e catapultata poi nel marasma di you tube, quella musica che conta milioni di contatti e che fanno di un youtuber una star destinata poi a scomparire in un breve lasso di tempo nei meandri della rete.

La musica di questi mostri sacri è invece destinata a restare, ad essere una sorta di comandamento scolpito a fuoco nella roccia, quella del progressive rock appunto.

All’epoca, Caravan, il primo omonimo album della band che come dicevano prima era uscito nel 1968,  passò quasi inosservato, e bisognerà aspettare poi il 1971 quando viene pubblicato  “In the Land of Grey and Pink” affinchè la band sia davvero consacrata; ma ci chiediamo ancora oggi come si fa a non amare Caravan, il primo lavoro del gruppo, la vera pietra miliare di questa gloriosa band dove rock, folk, musica classica e jazz si fondono per dar vita al vero sound di Canterbury?

Richard Sinclair ha affermato in una recente intervista “Non siamo mai stati veramente famosi, ci mancava l’equilibrio tra la musica e il business. Gruppi come i Genesis e gli Yes erano molto più conosciuti di noi. Noi, però, volevamo essere originali. Cercavamo sempre strutture interessanti e modi per sfruttare le nostre capacità di strumentisti”. Non è sufficiente una tale dichiarazione a rendere ancora più immenso questo grande esordio? Io penso proprio di si.

Parte II

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