Cinque album del 2016 consigliati da Fabio Zuffanti. La nostra intervista.

zuffantiIo e Fabio ci siamo conosciuti durante una delle sue dirette su facebook. Chattando abbiamo toccato argomenti di terre distanti ma sin da subito ci siamo capiti per il modo semplice e non artefatto di lavorare intorno alla musica. Certo che Fabio ha dalla sua molteplici esperienze musicali. Su Ondarock lo hanno definito Alfiere del rock neo-progressivo italiano con gli storici Finisterre, ma poi titolare via via di un percorso composito, inarrestabile, tutt’ora in divenire, che lo ha portato a concepire progetti come Höstsonate, R.u.g.h.e., Aries, laZona, la rock-opera Merlin, e un omaggio alla svolta canzone del Battiato più classico, ne “La Foce del Ladrone”. Tra contemplazione e musica colta lo abbiamo preso in uno dei suoi rari momenti disimpegnati e ne è nata questa chiacchierata su cinque degli album che cortesemente ci ha segnalato per questo 2016 che sta per concludersi. Io lo continuo a trovare “un semplice” della cultura musicale e letteraria più impegnata. Questi sono i suoi cinque album:

  • Joanna Halszka Sokolowska– Winterreise
  • Bobby Joe Long’s Friendship Party– Roma Est
  • Tongues Of Light– Channelled Messages At The End Of History
  • Colin Stetson– Sorrow, A Reimagining Of Gorecki’s 3rd Symphony
  • Lush– Blind Spot EP

Raffaele Astore: Ciao Fabio, questo 2016 è stato un anno particolare; tanti grandi artisti come David BowieLeonard Cohen, Keith Emerson Greg Lake non ci sono più ed hanno lasciato un grande vuoto. Tu come lo riassumeresti?

Fabio Zuffanti: Beh riguardo ai decessi c’è poco da dire, si nasce e si muore, purtroppo. Tutti gli artisti che sono deceduti hanno detto la loro con pagine che rimarranno immortali ma evidentemente era arrivata la loro ora… Da questo punto di vista sono molto fatalista e non sto certo a versare lacrime di coccodrillo quando cose del genere succedono, è la vita. Diverso il discorso di Bowie, lì sono rimasto veramente sconvolto, anche perché aveva appena pubblicato quello che ritengo essere uno degli album più belli della sua carriera, e davanti a un’esplosione così deflagrate di vitalità artistica l’ultima cosa che mi aspettavo era la sua improvvisa dipartita. La cosa fantastica è che, da grande genio quale egli era, è riuscito a rendere anche la sua morte qualcosa di artistico, offrendo al mondo un finale col botto.

Raffaele Astore: Dal punto di vista strettamente musicale come vedi e consideri la scena italiana di questo 2016?

Fabio Zuffanti: La scena generale italiana a suo modo è molto attiva, ci sono cose interessanti e anche un sacco di brutture. In generale sento fermento, una gran quantità di idee e prodotti mediamente piacevoli. Però oltre alla piacevolezza non si va. Non ho ancora sentito un nuovo genio che riesca a ergersi e a dire qualcosa di più consistente, e nemmeno lo vedo in luce negli esordienti. Forse manca del vero coraggio, è tutto un po’ standardizzato e non c’è veramente chi provi ad andare oltre, a puntare alto, sopra ciò che la gente si aspetta: questo in tutti i generi. E’ un continuo rifare cose del passato, spesso mischiando qua e la influenze provenienti dall’estero, ma nella maggior parte dei casi mancano proprio le canzoni. Non c’è la voglia di proporre creazioni forti, d’impatto, con melodie, armonie e arrangiamenti fuori dai soliti schemi. Cambierà? Non cambierà? Al momento non è dato saperlo… io dal mio punto di vista lavoro sempre per essere, nel mio piccolo, rivoluzionario e, soprattutto, per donare al pubblico che mi segue musiche che mi auguro possano essere significative. Vedremo se i semi della rivoluzione germoglieranno.

Raffaele Astore: Tu hai lavorato in tanti progetti musicali sia collaborando che producendoli. Ricordo di aver recensito  il tuo ultimo Symphony #1: Cupid & Psyche per gli Hostsonaten, musica che si muove tra rock progressivo, classica, jazz e folk. La mia domanda…dove va musicalmente ora Zuffanti oltre a scrivere libri come l’utimo Prog Rock, 101 dischi dal 1967 al 1980, scritto a quattro mani con il saggista Riccardo Storti?

Fabio Zuffanti: In questo periodo sono molto concentrato sulla preparazione del mio nuovo album solista, previsto per l’autunno 2017. Con questo lavoro sto esplorando una via appunto “rivoluzionaria” al concetto di prog, credo di essere pronto a tentare. Al momento non dico altro ma invito gli interessati a seguire tutti gli sviluppi della cosa sulla mia pagina Facebook. Per il resto il prossimo 13 gennaio uscirà un disco nel quale sono stato attivamente coinvolto. Si tratta di un progetto ideato dal batterista/dj/scrittore Mox Cristadoro contenente sette “stravolgimenti” in chiave hardrock/psichedelico/prog di pezzi di cantautori storici quali Dalla, Gaber, Battiato, Vecchioni, Ruggeri, Venditti e Baglioni. La squadra coinvolta nel progetto è composta da Mox alla batteria, dal sottoscritto al basso, da Paolo Botta dei Not A Good Sign alle tastiere, da Pier Panzeri del Biglietto per L’inferno alle chitarre e dal cantante Andrea Dal Santo. Il progetto è denominato “Christadoro” in onore del suo creatore/leader. Oltre ciò ho alcuni progetti paralleli che forse pubblicherò nei prossimi mesi (un album noise-metal con il progetto R.U.G.H.E., la registrazione di un reading assieme allo scrittore Antonio Moresco e un EP di canzoni “out”), sto lavorando all’allestimento del festival annuale che organizzo a Milano, la Z-Fest e a un tour canadese/americano per il prossimo maggio/giugno. Sono inoltre dietro alla produzione artistica di diverse band, le prime due usciranno con i loro esordi nei prossimi mesi, si tratta dei Cellar Noise e degli ISProject con due album che delizieranno i palati di molti prog-fans. Infine sto prendendo appunti per un libro che mi piacerebbe molto riuscire a pubblicare, dedicato al regista russo Andrej Tarkosvkij, uno dei miei massimi ispiratori artistici e spirituali.

Raffaele Astore: E veniamo ai lavori che ci hai segnalato per questo 2016 che più ti hanno colpito iniziando da Joanna Halszka Sokołowska ‎– Plays Franz Schubert Winterreise. Citiamo l’ottima recensione di Michele Palozzo su Ondarock; “Emergenti della scena polacca, hanno dalla loro una creatività assieme impetuosa e riflessiva, che non di rado passa dalla memoria storica alla luce della libertà espressiva oggi concessa alle arti”. Personalmente in questo lavoro mi ha colpito molto la solitudine canora di Joanna Halszka Sokołowska. Vuoi approfondirne, chiaramente da un punto di vista strettamente musicale, la questione?

joanna-halszka-sokolowska-%e2%80%8eplays-franz-schubert-winterreise-250x250Fabio Zuffanti: Questo lavoro è stato una vera sorpresa. Mi sono accorto della sua esistenza leggendo una recensione sulla rivista “Blow Up” che ha acceso la mia curiosità. Un recital per sola voce lungo oltre settanta minuti e basato su un frammento di un lied di Franz Schubert. Sulla carta poteva sembrare qualcosa di difficile assimilazione ma in realtà è un’opera di una bellezza e di una scorrevolezza estreme. La bravissima Joanna Halszka Sokołowska si concentra su una singola – bellissima – melodia per quasi tutta la durata dell’album e la reiterazione di tale melodia entra poco a poco “in circolo” donando momenti di vera ipnosi e rarefazione. Più passano i minuti più la realtà sembra trasfigurarsi e perdere i contorni. Certo, è un ascolto che richiede totale devozione, ma se si riesce a penetrarlo può donare sensazioni indelebili.

Raffaele Astore: Bobby Joe long’s friendship party: Roma Est. La dramasynthcoatto, è come viene descritto questo lavoro nelle note di copertina del cd; praticamente in questo lavoro ci sono la old wave, la new wave, e poi la coatto-wave. Potremmo pensare alla Berlino di Bowie o Iggy Pop, in realtà siamo più a Roma Est. Ma tra serio e faceto questa band ha proprio un background musicale solido. Il motivo della tua scelta sta per caso nel background del progetto dei Bobby Joe long’s friendship party?

bobby-joe-longs-friendship-party-roma-est-250x250Fabio Zuffanti: In parte, ma non è stato solo il background del combo romano a catturarmi. Prima parlavo di essere rivoluzionari, di andare oltre le troppe standardizzazioni in atto nel nostro paese (pensiamo solo agli indies barbuti tutti uguali); ecco, i BJLFP, in questo panorama asfittico, tentano la carta del mix impossibile: pezzi alla Joy Division cantati col il tipico slang delle periferie romane. Una roba che o viene una schifezza assurda o un capolavoro. E siccome i ragazzi ci hanno saputo fare l’ago della bilancia pende decisamente verso la seconda della mie affermazioni. Il loro album inoltre non è solo new wave e “coattitudine” bensì pezzi forti, ben composti, che catturano l’ascoltatore, dotati di testi mai banali, grotteschi, surreali e stranianti. Una ricetta vincente che spero i BJLFP possano ancora fare evolvere in futuro.

Raffaele Astore: Vista la tua doppia veste di musicista e scrittore, è’ vero che in questo lavoro il nichilismo uccide il conformismo?

Fabio Zuffanti: Non so, se c’è nichilismo nei BJLFP, nei loro testi intravedo più un distacco, una certa ironia e fatalismo. Ricordano certi personaggi alla Claudio Caligari, sempre sull’orlo dell’abisso ma dotati di quella scaltrezza che permette loro di sfangarla, almeno fino alla rovinosa caduta finale.

Raffaele Astore: Toungues Of Light – Channeled Messages At The End Of History.Questo disco suona immateriale: praticamente sono due lati da quindici minuti in cui ti senti posseduto da un fantasma. Eppure il lavoro di questo gruppo affascina. Ecco, il motivo della tua scelta quale è stato? Non è che durante l’ascolto ti sei sentito un pò ectoplasma anche tu?

toungues-of-light-channeled-messages-at-the-end-of-history-250x250Fabio Zuffanti: Hai detto giusto, “posseduto da un fantasma”! Questo lavoro congiunto degli elettronici Demdike Stare e del produttore Andy Votel è sicuramente spettrale. Ed è questa caratteristica che me lo fa apprezzare. Come si sarà capito tra le cose che amo ci sono le atmosfere sospese, rarefatte e a volte tetre. Ma sono molto esigente al riguardo, ci sono un sacco di compositori che cercano di evocare climi inquietanti ma pochissimi hanno la giusta sensibilità per partorire materiali convincenti. I TOL sembrano mettere in musica una sorta di rito arcaico dimenticato nella notte dei tempi. Potrebbero essere la giusta colonna sonora di un qualche racconto di Lovecraft. E amando smisuratamente il maestro di Providence non potevo che rimenare ammaliato da un album del genere.

Raffaele Astore: Colin Stetson – Sorrow. A Reimagining Of Gorecki’s 3rd Symphony. Colin Stetson abbandona le sonorità hardcore avant-jazz per dedicarsi alla rilettura della terza sinfonia di Górecki facendolo con una naturale inclinazione verso quell’oscurità nascosta all’interno dei cantici e verso l’ossessività dei suoi movimenti. L’opera originale considerata un inno contro la guerra, la Sinfonia dei Cantici Dolorosi, nelle intenzioni del compositore polacco, voleva essere una raffigurazione delle sofferenze legate alla separazione. Trovi che il lavoro di Colin non si discosti poi di molto dall’originale. Parlaci un po’ di questa tua scelta?

colin-stetson-sorrow-a-reimagining-of-goreckis-3rd-symphony-250x250Fabio Zuffanti: Amo l’opera di Górecki e mi sono accostato a questo lavoro con qualche perplessità. Dare una patina “rock” a una partitura di classico-contemporanea poteva essere quantomeno un azzardo. Invece Stetson trionfa la dove molti hanno fallito. La sua versione/visione della terza sinfonia del grande compositore polacco è estremamente rispettosa della partitura originaria ma ne mette allo stesso tempo in luce particolari inediti e ne arricchisce diversi passaggi grazie a una strumentazione elettrica e alle percussioni. Alla fine sembra di ascoltare dei GY!BE più classicheggianti e sinfonici che suonano la colonna sonora dell’apocalisse. Ci vuole una certa maestria ma se questi sono i risultati ben vengano riletture del genere!

Raffaele Astore: Lush – Blind Spot – Dopo circa vent’anni, alla fine del 2015 i Lush hanno annunciato la reunion ed è arrivato il primo nuovo materiale dal 1996. Grazie a questo nuovo EP che hai inserito nella tua classifica personale dei migliori 2016, ed ascoltandolo, sembra come se il tempo si sia fermato allo scioglimento della band. Come se nulla fosse accaduto, riprendono il percorso proprio da dove lo avevano interrotto, dando ampio spazio alla più recente anima dream pop a scapito di quella più shoegaze degli esordi. Insomma tra prog e classicismo chiudi in bellezza la tua scelta dei migliori 2016.

lush-blind-spot-250x250Fabio Zuffanti: Beh, i Lush hanno a che fare con una certa dolce nostalgia per i tempi andati. Lo shoegaze è stato un genere che attorno ai vent’anni, in mezzo a diversi cambiamenti ed esperienze, mi aveva stregato. Ride, Chapterhouse, Slowdive e altri sono stati la colona sonora di un periodo bello e confuso. E ritrovare i (o le) Lush dopo una pausa che durava dal 1996, con la stessa freschezza di come li avevamo lasciati, è stato bellissimo. Il ritorno sarebbe però stato nulla se non ci fossero state le canzoni giuste, e i quattro pezzi di questo EP sono giustissimi; sognanti, iridescenti, pop e psichedelici come solo loro sapevano/sanno fare. A questo punto l’attesa per un nuovo full-lenght album è fortissima.

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