IN ROCK WE TRUST

maxLa storia dei più importanti giornali, programmi radio e tv, siti web, concerti, festival, locali, negozi di dischi e di strumenti, etichette discografiche, scene musicali (beat, progressive, cantautori, blues, punk, heavy metal, grunge…) dal 1950 ad oggi in Italia. Un’analisi di quanto successo nel mondo della musica rock raccontando come la ‘cultura musicale’ non sia andata in Italia di pari passo con quella dei paesi anglosassoni e del resto d’Europa. 

Questo libro nasce sulle ceneri di ‘Wild Thing”, la biografia di Max Stefani uscita nel 2012. In quel libro oltre a parlare della sua vita (privata e lavorativa – leggi ‘Il Mucchio’), l’autore faceva anche una veloce carrellata su quanto successo in Italia ‘intorno’ alla musica. Max ha ripreso quanto scritto, tagliato il più possibile, in certi casi ampliato o corretto, aggiunto materiale nuovo all’incirca per l’80%. L’idea alla base di questo nuovo lavoro è stata quella di fare un’analisi di quanto successo in Italia nel mondo della musica (con particolare approfondimento sul ‘rock) non tanto dei musicisti ma del back-stage, ovvero trasmissioni tv e radiofoniche, locali, festival, giornali, fanzine, negozi di dischi, etichette discografiche, grandi o piccole che fossero,raccontando anche come la ‘cultura rock’ non sia andata in Italia di pari passo con quella dei paesi anglosassoni e del resto d’Europa.

Perchè se è vero che una forma di musica così distintamente giovanile, il rock, ha giocato un ruolo decisivo nella cultura globale del periodo del dopoguerra, diventando la lingua musicale dell’ultima metà del 900, è un dato di fatto che in Italia non è andata come si sperava. L’autore ha tentato tra le righe di far capire i motivi di un (parziale?) fallimento/situazione del rock in Italia, di rispondere alla fatidica domanda: “Cosa è successo al rock in Italia? perché è andata così male? perchè ci abbiamo sempre capito poco, appassionati o addetti ai lavori”.

Ce la siamo sempre menata con il rock ma siamo sempre rimasti una piccola minoranza, almeno fino a metà anni ottanta, quando purtroppo il bello era già passato. Senza nulla voler togliere alla grandezza di band successive come U2, R.E.M., Black Crowes, Tom Petty, Guns N’Roses, Prince, Metallica, Radiohead, Steve Ray Vaughan, Polly Harvey o Red Hot Chili Peppers. E mi fermo.

In fin dei conti gli unici musicisti che fino a metà anni ottanta hanno venduto dischi in Italia, che si sono fatti ‘sentire’ come vendite, sono stati veramente pochi: Beatles, Rolling Stones (sempre venduto meno della metà di Lennon & McCarthy), Procol HarumDeep PurplePink FloydPoliceSantanaStevie WonderLed ZeppelinCreedenceJethro TullELPGenesisBee Gees… in epoche diverse.  L’unico ‘nostro’ gruppo che ha veramente sfondato sono stati i Dire Straits e in misura minore Springsteen, ma solo nel 1985 con Born In the Usa. Al suo settimo disco. Vendite precedenti vicine allo zero.

Per il resto gli italiani, al 99%, hanno continuato sempre ad ascoltare solo i ‘melodici’ da Al Bano a Ramazzotti passando per Morandi, Baglioni, Umberto Tozzi, Pooh, Laura Pausini, Giorgia, Biagio Antonacci, Tiziano Ferro, Francesco Renga, Renato Zero, Antonello Venditti, Riccardo Cocciante, Cesare Cremonini, Paolo Conte, Battiato etc. Con eccezioni a metà strada ma sempre con il freno a mano tirato, e sempre di ‘derivazione’, come Zucchero, Vasco Rossi o Ligabue che un po’ di rock dentro hanno cercato di mettercelo. Per quanto glielo consentiva il mercato e le loro capacità. Giustamente all’estero, il musicista italiano che ancora oggi sentono più rappresentativo non a caso è Bocelli. Quando il Leicester ha festeggiato lo scudetto inglese nel 2016 e la città ha voluto omaggiare l’allenatore italiano, chi hanno chiamato? gli Afterhours?

Questo siamo noi. Anche se è duro ammetterlo.

C’era anche da capire lo stile, e Stefani ha scelto per una narrazione che fa da filo d’unione alle dichiarazioni (in stile ‘I 4 cavalieri dell’Apocalisse”) cui però ha aggiunto uno schema riassuntivo delle classifiche di vendita.  E questo per far capire meglio il mercato. Stefani ha quasi sempre evitato di dire la sua, riportando solo le dichiarazioni dei protagonisti. Compreso le sue anche se a volte sono finite nel racconto. Di sicuro questo libro può diventare un bel viaggio nella memoria musicale di questo paese.

E non solo quella.

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