Incontro con DONATO ZOPPO, autore del nuovo libro “La Filosofia dei Genesis”

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Sul suo sito, il sottotitolo che accompagna questo nostro amico di “ventura” è “incorreggibile divulgatore di buona musica”. Bene, Donato Zoppo, salernitano trapiantato a Benevento, è di fatto quel personaggio che non ti aspetti a guardare il suo curriculum. Lo abbiamo incontrato e ne è nata questa simpatica intervista con l’incorreggibile

Disponibile ed essenziale, concreto e…. “raffreddato” ha al suo attivo collaborazioni con Le Vie della Musica, inserto di cultura musicale del Sannio Quotidiano, diretto da Armin Viglione, con ProgMagazine, Wonderous Stories, Nobody’s Land e Trespass. Dal 2002 si occupa di musica e cultura per il mensile campano L’Idea, nel 2004 partecipa alla fondazione del webmagazine MovimentiProg, di cui è tuttora coordinatore e nel 2007 l’approdo a Jam, popolare mensile rock diretto da Ezio Guaitamacchi e sempre dallo stesso anno conduce il radio-show Rock City Nights, in onda sulle frequenze di Radio Città BN .Ancora dal 2009 la collaborazione con il free magazine trentino Totemblueart; e sin dalla fine del 2012 con Audio Review, poi dalla primavera del 2014 inizia a scrivere per il glorioso mensile rock Rockerilla. 

E’ autore del blog Chi va con lo Zoppo… ascolta buona musica, dedicato a news e approfondimenti sul mondo della musica italiana e internazionale. Lo abbiamo contattato in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro “La filosofia dei Genesis, voci e maschere del teatro rock” uscito per la Mimesis Edizioni nella Collana “Musica contemporanea” è ne è nata questa chiacchierata.

D: Da “35 anni di Rock Immaginifico” alla “Filosofia dei Genesis”. Un periodo musicale in comune, un rock in comune, ma con i Genesis istrioni di un sound anche teatrale oltre che sonoro e visivo. Eppure sia PFM che Genesis sono due costole prog. Ecco ci spieghi le differenze?

Donato Zoppo: In dieci anni ho scritto molto in materia di progressive-rock: cominciai proprio dieci anni fa, nel 2006, con il mio libro sulla PFM e a febbraio 2016 ha visto la luce questo nuovo saggio sui Genesis, due formazioni chiave per comprendere nascita, affermazione e sviluppi del prog-rock in Europa. Le differenze ovviamente sono notevolissime, anche se entrambi i gruppi sono ascrivibili alla corrente prog. Alcune cose interessanti: benchè la PFM debutti discograficamente alla fine del 1971 e i Genesis nel 1969, Di Cioccio e compagni avevano qualche anno in più e anche una mole di esperienza di un certo peso alle spalle, cosa che ai Genesis – classe 1950-51 rispetto al 1946 di Franz Di Cioccio, stessa annata di Fripp per intenderci – mancava. I ragazzi della PFM, quando erano ancora Quelli nel pieno dell’epoca beat, erano richiestissimi in studio come session man per i principali artisti leggeri del periodo, oltre che attivi in proprio con la band: ecco il motivo della loro maestria strumentale, che gli consentirà di debuttare in splendida forma, a differenza dei Genesis, che avranno bisogno di un po’ di tempo in più per carburare. Tuttavia i Genesis incrociano molto prima il fenomeno prog, ovviamente grazie alla provenienza geografica e alla vicinanza con la Londra appena infiammata dai King Crimson. La band di Fripp era un’influenza forte, mai negata, per Genesis e PFM, ma ognuno la personalizzò a suo modo, i primi recuperando il romanticismo nazionale e una forte vena acustica (in seguito materializzando sul palco una dimensione visiva), i secondi valorizzando la forza strumentale e la melodia piena all’italiana. I Genesis hanno due fasi ben distinte, la PFM ha cambiato pelle molte volte, attraversando vari generi rinnovandosi grazie al rapporto con la canzone d’autore e De Andrè: i Genesis degli anni ’80 invece approdarono subito a un pop da classifica, da autentici big del decennio.

D: Restando per un po’ agganciati al progressive tricolore, nel nostro panorama, forse, solo un gruppo ha esercitato teatralità e musica nel suo insieme, gli Osanna. Ma tra questi ultimi ed i Genesis ci sono differenze sostanziali nelle tematiche; da attento ricercatore, vuoi in breve spiegarcene la sostanza?

Donato Zoppo: Quando nell’estate del 1972 i Genesis tornano in Italia per il secondo tour, la band di apertura in concerto sono proprio gli Osanna, che già da un anno (dal folgorante debutto L’Uomo, uscito nell’estate del 1971) fanno uso di trucchi e abiti di scena. Musicalmente sono due gruppi diversissimi: più legati alla musica classica e al folk i Genesis, più vicini al calderone hard-blues gli Osanna, con agganci jazz dovuti all’estro dell’ex Showmen Elio D’Anna. Dal punto di vista estetico e visivo, ferma restando la comune influenza di Arthur Brown, c’è un primato cronologico dei napoletani ma in buona sostanza ci sono grandi differenze: gli Osanna cercano con l’elemento visivo e gestuale di rafforzare l’identità del gruppo, i Genesis invece con maschere e scelte scenografiche non fanno altro che completare dal vivo il percorso sonoro che nasce dalla copertina e si sviluppa durante l’ascolto del disco.

D: Palepoli del 1973 e The Lamb Lies Down on Brodway del 1974 escono ad un anno di distanza l’uno dall’altro. In un certo senso si può dire che i nostri Osanna siano stati anticipatori di un teatro rock che, con i Genesis, avrebbe poi avuto il suo apice?

Donato Zoppo: Il teatro rock era nell’aria da molto tempo, grosso modo da un anno capitale come il 1967: il primo capitolo del mio libro affronta proprio questa nuova stagione, citando nomi come Pink Floyd (imperdibile il libro di Gianfranco Salvatore su The Wall, che analizza punto per punto questo elemento), Doors, Mothers Of Invention, ovviamente il pionieristico Arthur Brown, anche i Velvet Underground. Voglio dire che, con la nascita della cultura rock a metà anni ’60, sale all’attenzione del pubblico anche un modo nuovo di stare sul palco, di usarlo e viverlo, sia a Londra che a San Francisco o New York. Non più la scheletrica ed essenziale esibizione alla Beatles/Stones, ma una performance che sia esperienza, che avvolga e rapisca l’ascoltatore catturandolo anche dal punto di vista visivo.David Bowie, Alice Cooper e Genesis, in modi e con intenzioni diverse, agiscono nello stesso periodo, gli Osanna del 1973 inventano un’opera rock all’italiana perfezionando quanto già preconizzato tre anni prima in Orfeo 9 di Tito Schipa Jr. Ribadisco dunque questa convinzione: era un periodo di grossa condivisione ideale, un’epoca in cui la frattura generazionale era talmente forte che il mondo giovanile esprimeva un blocco di valori, obiettivi e pratiche in cui anche il concerto era diverso da prima. All’interno di questa temperie socio-culturale, grande merito va ai nostri Osanna per aver immaginato una proposta rock anche visiva, narrativa, oltre che performativa e interpretativa. The Lamb arriverà nel 74 a completare questo esperimento, che poi sarà definitivamente arricchito dai Pink Floyd di The Wall, operazione multimediale coraggiosa e trionfale.

D: “La Filosofia dei Genesis” è un piccolo grande lavoro uscito per la collana “Musica contemporanea” della Mimesis. Qui tu individui una possibile chiave di lettura di quel teatro rock che aveva avuto già illustri precedenti. Forse quello con il Living Theatre per i lettori potrebbe essere il più immediato?

Donato Zoppo: No, per i lettori i più immediati riferimenti sono quelli strettamente musicali citati prima, il Living Theatre era un fenomeno molto amato e seguito (pienamente calato nella ricerca di liberazione culturale individuale e collettiva) ma influente – in maniera esplicita e dichiarata – solo per Jim Morrison, forse per alcuni versi anche per la Factory di Andy Warhol. Per i protagonisti del teatro rock hanno avuto più peso un Arthur Brown che un Julian Beck, o una Yoko Ono che una Judith Malina…

D: Questa tua ultima produzione spinge il lettore ad una sorta di ricerca personale sul “fenomeno Genesis”. La loro musica ha sfornato lunghe suite che hanno rappresentato una specie di “prologo” progressive. Ma quanto è stata determinante la loro influenza non solo nel prog ma nella musica e nel teatro in genere?

Donato Zoppo: Credo sia il caso di contestualizzate i Genesis nel panorama del rock, non della musica o del teatro in generale. Sono stati uno dei gruppi più influenti, sia nella fase prog che in quella pop: credo siano da affiancare a nomi come Black Sabbath, Motorhead, Ramones e AC/DC, formazioni che hanno inventato o perfezionato un tipo di suono e di linguaggio, generando innumerevoli cloni (i Sabbath in particolare, da questo punto di vista sono stati fenomenali). I Genesis dell’epoca gabrieliana sono stati il principale riferimento per i gruppi dell’era new prog, a partire dai Marillion: il nuovo prog anni ’80 ha visto in loro il primo e più amato “totem” da onorare. I Genesis anni ’80 hanno avuto un grosso peso e molti seguaci, anche il Collins solista ha avuto un considerevole ruolo, basta pensare al lavoro di batteria senza piatti nel terzo disco di Peter Gabriel, forse tra le “invenzioni” sonore e ritmiche più decisive degli anni ’80.

D: Seconda metà degli anni ’60, una rigenerazione non solo musicale ma anche urbana; poi la Charisma, i Genesis, i VDGG, i Jethro Tull e così via. Ecco, anche questi ultimi come il gruppo di Gabriel hanno messo in musica personaggi quasi fiabeschi ma con alcune differenze musicali. Vuoi spiegarcele meglio?

Donato Zoppo: Genesis e Jethro Tull hanno differenze notevoli: i JT provengono dal British Blues e quella matrice, molto legata al riff, a una certa asperità rock, a una predilezione per il linguaggio elettrico, sarà un dato costante e a volte dominante. Ma nell’orizzonte musicale dei JT c’è anche – e in maniera prepotente – l’elemento acustico, prelevato direttamente dal folk inglese, tanto caro anche ai Genesis. Un altro elemento comune è una certa vena narrativa da cantastorie, più marcata ovviamente nei JT vista la figura di Ian Anderson, menestrello folk-rock di grande intelligenza e sensibilità. Credo che, a parità di attenzione al patrimonio “british”, quello dei Genesis sia più letterario e simbolico, mentre quello dei JT è più legato al dato sociale, persino politico (vedi il caso emblematico di Aqualung…). I JT però dal vivo si fermano alla spettacolarizzazione, i Genesis invece approfondiscono molto la teatralità, forti di un’esigenza: quella di materializzare la narrazione, che nel caso dei JT si fermava alla palandrana e alla mantella di Ian o alla celebre posa da fenicottero col flauto…

D: Nell’introduzione al tuo libro, Mario Giammetti scrive “il valore aggiunto dei Genesis si estrinseca in due caratteristiche: la prima è la capacità di rinnovamento, la seconda la forza solistica”. Sicuramente ti troverai d’accordo, ma per i nostri lettori, vuoi spiegare meglio questo concetto?

Donato Zoppo: E’ un concetto che Mario sottolinea sempre nei suoi scritti, e che condivido in pieno. Il rinnovamento è un dato costante nella stroria dei Genesis, e da subito: basta pensare alla forza dirompente di Trespass rispetto al debole predecessore FGTOR, all’evoluzione della fase con Hackett e Collins, e soprattutto alla totale eliminazione di tentazioni nostalgiche in favore di una propensione all’inedito, finchè è stato possibile. Come dichiara spesso Giammetti, meglio un album di inediti che l’ennesima riproposizione del repertorio – sicuramente più elevato artisticamente – del periodo d’oro. I Genesis sono un unicum poiché hanno generato alcune tra le attività soliste più straordinarie della storia del rock: straordinarie per popolarità, qualità e influenza (Gabriel), per successo commerciale (Collins, il Rutherford dei Mechanics), per importanza e innovazione chitarristica (Phillips e Hackett, due autentici maestri della sei corde).

D: Fino al 65/66 il rock non ha posseduto una componente teatrale. Fino ad allora l’ascolto del disco era la componente principale per vivere la musica. Poi arriva un certo Frank Zappa con un teatro rock più concettuale che visivo, imprevedibile. Eppure, gli anni sono quelli. Freak Out è del 66. Ecco in cosa si differenzia la ricerca statunitense anche “teatrale” da quella del vecchio continente?

Donato Zoppo: All’epoca il ping pong tra USA e UK era costante, uno scambio artistico eccezionale, basta pensare al dialogo a distanza tra Brian Wilson e Paul McCartney durante il making of di Revolver, Pet Sounds e Sgt. Pepper. Se a Londra i Pink Floyd immaginavano pionieristiche performance multimediali che coniugavano innovazione e light show, sperimentazione sonora con la quadrifonia e esplorazione concettuale d’avanguardia, a New York Zappa e i suoi mettevano in scena al Garrick Theatre una forma di teatro rock satirico che si nutriva di provocazioni mirate, velenose ed eccessive al pubblico, vivendo dunque di questa osmosi con le risposte della platea. In entrambi i casi i progetti erano meditati, indubbiamente pionieristici e motivati, come la stessa idea morrisoniana di teatro liberatorio, nel quale il rock e Freud, il blues e Nietzsche, l’improvvisazione e Artaud andavano a braccetto, con una drammaturgia minimale ma visionaria. Le ispirazioni dei Genesis sono diversissime, erano pur sempre degli ex collegiali imbevuti di mitologia, fantascienza e letteratura, ma avevano in Gabriel una figura curiosa, vogliosa di diversivi e intuizioni sorprendenti. Pensa a The Musical Box: una suite che si presenza come una surreale e grottesca allegoria della violenza repressa nelle famiglie della borghesia britannica, che però dal vivo si perfeziona con la maschera da vecchio, la mimica prima tremolante poi sovraeccitata, con un Gabriel che accenna anche un approccio da attore, valorizzando sempre di più la maschera e di conseguenza il pezzo. Quello che nei Genesis mancava, e che invece avevano Doors, Zappa e Velvet Underground, era una sorta di intento pedagogico/politico/disturbante.

D: Discorso a parte, restando negli States ma parlando sempre di teatralità, merita l’Exploding Plastic Inevitable dei Velvet Underground. Qui l’unione con Andy Warhol arricchirà il concetto di teatralità anche con le arti cinematografiche, con la danza, recitazione e musica insieme. Qui il concetto si allarga, diventa quasi un concetto di disturbo, palpabile. Non più teatro rock ma psico-disturbo. Quanto siamo lontani dal mondo dei Genesis?

Donato Zoppo: Siamo molto lontani, la Factory era pur sempre un luogo artistico votato alla connessione tra musica e immagine, i Genesis non erano che una rock band, colta, europea e aristocratica quanto vuoi ma lontana dal genio di Warhol. Forse l’elemento in comune era il sesso: nel caso dei Velvet esplicito, legato a pratiche non convenzionali, espresso anche attraverso la danza e il cinema, nel caso dei Genesis più sottile, da liceali insomma, con un approccio più pruriginoso perché considerato un tabù.

D: Doors con Jim Morrison cambiano ancora questa idea fondante di rock-teatro. Le influenze qui sono molteplici. William Blake, Sofocle, Brecht ma soprattutto Nietzsche. Per i Genesis, invece, le ispirazioni sono diverse. A quali fanno riferimento in particolare?

Donato Zoppo: Il riferimento ai Doors nel primo capitolo del libro è ampiamente motivato: Jim Morrison, lettore vorace, ingegnoso e ambizioso, mirava a mettere in scena tematiche difficili (penso al complesso di Edipo – perfetto in un contesto di frattura generazionale così forte, “us and them” per intenderci) senza una drammaturgia forte, ma facendo affidamento al suo carisma e al suo sentirsi “interprete”, medium, canale tra pubblico e tragedia, ovviamente in chiave rock. Le ispirazioni dei Genesis, e nello specifico di Gabriel, sono altre: la narrativa inglese da Carroll a Wilde, la religione, la fantascienza. Erano pur sempre ex studenti di college…

D: E poi ci sono gli Who. Anche Tommy è un lavoro uscito nel 1969. E’ giusto considerarlo ancora oggi il manifesto delle opere rock? Eppure altri ci son stati prima di loro. I Kinks ad esempio?

Donato Zoppo: Tommy è il manifesto dell’opera rock, molto più dei pur coraggiosi, eccentrici ed adorabili Kinks poiché per la prima volta assistiamo a una forma di teatro musicale in chiave rock compiuta e definita, con un successo di pubblico incredibile (non dimentichiamo che gli Who la eseguono anche a Woodstock, portando questa formula all’attenzione di mezzo milione di ragazzi…). Tutti i ruoli di Tommy saranno incarnati da Roger Daltrey, Peter Gabriel farà lo stesso in The Lamb, con una differenza: una maggior attenzione per la drammaturgia, la presenza di costumi e scenografie che nel caso degli Who erano totalmente assenti. Un elemento che accomunava tutti questi gruppi a partire dal 1967, salvo alcune eccezioni (ad es. Dylan e gli Stones, che non hanno mai realizzato un concept fatto e finito), era la forte voglia di narrazione, il volersi liberare dalla semplice sequenza di canzoni in favore invece di un album esperienziale nel quale perdersi.

D: Chiudiamo questa nostra chiacchierata con un’ultima domanda. Quanto secondo te il rock attuale è lontano da quello che era ed è stata la Filosofia dei Genesis?

Donato Zoppo: Se per rock “attuale” intendiamo quello contemporaneo, ovvero immaginato, suonato e prodotto oggi da artisti odierni, la situazione è davvero agli antipodi e non potrebbe essere diversamente. Il rock dei Genesis – ma anche quello di Jimi Hendrix, dei Kiss, dei Gentle Giant o dei Television, per fare quattro nomi diversissimi… – era figlio di quell’epoca: l’onda lunga della Summer of Love, dell’esperienza psichedelica e del terremoto del 68 condizionava fortemente il fare musica e il fruirla. Chi faceva musica sapeva benissimo che doveva rispettare alcuni valori fortemente condivisi: l’originalità, il non ripetersi, la ricerca del proprio stile, la produzione del disco come opera totale e vicenda sinestetica che trasportasse l’ascoltatore in un nuovo mondo. Chi ascoltava musica all’epoca chiedeva moltissimo all’artista: chiedeva impegno, purezza, personalità, e ascoltava secondo rituali precisi, immergendosi dapprima nella copertina poi nel suono, prendendo respiro solo col cambio di facciata. Oggi siamo in un’altra dimensione storica, sociale, artistica, estetica, impossibile immaginare dei legami tra gli anni ’60 e il 2016.
Grazie Donato, buon lavoro ed un sincero augurio per questo splendido, piccolo ma essenziale libro che di sicuro interesserà molti di noi (e non solo).

 

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