KING CRIMSON: Live at the Orpheum (2015)

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I King Crimson sono stati coloro che hanno concepito un progressive diverso dai soliti schemi. Fripp, Sinfield e Lake hanno rappresentato un passato glorioso. Ma c’è anche un ritiro annunciato e mai avvenuto, quello di Fripp. Infatti, nonostante “the day the music died” è ancora qui.

Nel rock c’è una band come la fenice, uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. E la storia che stiamo per raccontarvi è ormai leggenda. Robert Fripp è di sicuro uno degli strumentisti più autentici nella storia della chitarra elettrica, di certo uno dei più evoluti ed imitati. Bene: c’era una volta il 3 agosto dell’anno 2012, quando Fripp annuncia il suo ritiro dalle scene. Ciò che lo spinge a una tal decisione è il suo tentativo di tutelare le proprie creazioni, di stabilire l’esatto significato di diritto e di autore, di far riconoscere ai maestri come lui il pregio del loro impegno; e lo scontro con la major Universal Music Group non è di poco conto.

Da tempo, ormai, Fripp non si sente più vicino alla musica, e l’onere psicologico e fisico profusi contro questa lotta non solo giudiziaria, contribuiscono non poco ad allontanarlo dal gusto e dalla passione di essere “il musicista”, uno dei più grandi talenti che abbia mai potuto calcare i palchi. Il passo è quasi una naturale conseguenza ed appunto, il 3 agosto dell’anno domini 2012, Fripp annuncia il ritiro. Ma se di conseguenza naturale si parlò all’epoca, la produzione di un ennesimo live, la dice lunga su quanto la passione e la ricerca musicale possano essere dirompenti anche in siffatti personaggi.

Il debutto discografico dei King CrimsonIn The Court of the Crimson King uscì il 10 ottobre 1969. E ora, a quarantasei anni dalla sua fondazione, la band di Robert Fripp ha deciso di dare alle stampe un nuovo album dal vivo, inciso a Los Angeles.

Live At Orpheum è una sorta di pre riscaldamento al nuovo progetto King di cui fanno parte sette musicisti, quattro inglesi e tre americani; tre batteristi Gavin Harrison (Porcupine Tree), Bill Rieflin (REM, Ministry) e Pat Mastelotto,Tony Levin al basso con l’aggiunta di Mel Collins al sax e del chitarrista Jakko Jakszyk e naturalmente l’istrione Robert.

I cambiamenti di ritmo sono alla base di un lavoro che per chi, come me, ha da sempre amato questo gruppo, ti riportano, a volte, a movimenti sonori già assaporati; ma nessuna nostalgia ti assale.
Ma nello sviscerare bene l’ascolto, è incomprensibile la riduzione di tutto il lavoro a soli 41 minuti. Certo che i King non sono quelli di una volta (Robert Fripp, Ian McDonald, Mike Giles, Greg Lake ed un certo Pete Sinfield ).

L’apertura con “Walk On: Monk Morph Chamber Music” è uno stano insieme di improvvisazioni miscelate a musica pre-registrata mentre il successivo brano “One more red nightmare” è quello a cui spesso lo stesso Fripp ci ha abituato: sperimentazione tra prog e jazz con sfumature di “crazy feeling”.

Banshee Legs Bell Hassle è una breve ma efficace improvvisazione da parte del neo-battezzato “drum trio” composto da Gavin Harrison, Bill Rieflin e Pat Mastelotto; Collins, Fripp e Tony Levin integrano il materiale riprodotto sull’album notevolmente, in particolare Collins aggiunge un tocco leggero col sax riuscendo ad amalgamarsi ottimamente alla nuova linea crimsoniana. E Fripp, come al solito è il maestro di un tecnicismo unico che ha fatto “genere” sin dagli esordi.
The ConstruKction of Light è la vera e propria evoluzione del sound Re Cremisi, lo era già ai tempi dell’album quando nel 2000 il gruppo riapparve, e qui il tutto è dimostrato dal minimale ma fitto dialogare tra chitarre.

La delicatezza di The Letters è, appunto, letteralmente dirompente, mentre la violenza espressiva di Sailor’s Tales ci porta a capire quanto questo nuovo Fripp sia intenzionato a dare ancora. La sua chitarra, tagliente come un rasoio, si innesta sul sax di Mel Collins mentre le linee armoniche sono compito di Tony Levin al basso.

Starless è una suite di dodici minuti di estasi spaziale che beneficia di una chitarra in più quella di Jakszyk. Purtroppo di fronte al maestro la sua sembra essere una prova sottotono. Certo per l’anatroccolo non poteva essere diversamente, ma se Fripp lo ha scelto vuol dire che “il maestro” ci avrà visto comunque qualcosa e quel qualcosa, nel suono si sente.

Ora non è che voglia tediare più di tanto i nostri lettori ma sentire parlare di King Crimson oggi è ritornare un po’ indietro nel tempo, un tempo che non è mai andato, che non si è mai fermato ma che in fatto musicale ha dato tanto.

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